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Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer

“Perchè sto provando ad essere qualcosa che non sono? Non sono un bravo bambino, non sono un ragazzo normale, non riesco a integrarmi, sono strano, mi sento diverso da tutti. C’è qualcosa che non va in me.”

È così che si descrive colui che oggi chiamiamo “il serial killer di Milwaukee”.

Jeffrey Dahmer: un normalissimo ragazzo al quale è stata portata via l’opportunità di potersi relazionare con altre persone a causa dell’assenza del padre e dei numerosi problemi legati alla depressione della madre, che l’hanno reso perciò “chiuso” e “apatico”.

La nuova serie, realizzata dal celebre regista e produttore Ryan Murphy, già conosciuto da molti grazie alla serie tv “American Horror Story”, è stata rilasciata da pochissimo da Netflix e narra la vita e la brutalità del “killer”, posizionandosi prima in classifica sulla piattaforma e diventando così una delle serie tv più viste al mondo.

Ma qual è il motivo di tutta questa popolarità? Sarà davvero così interessante la vita di un serial killer?

Sicuramente l’idea di poter assistere a cronache di true crime su Netflix affascina molto i giovani e non solo, ma non sarà questo il solo e unico motivo.

Infatti, ciò che colpirà di più sarà la capacità dell’immedesimarsi nei panni del “mostro” da parte dell’attore protagonista Evan Peters, che riuscirà a riportare Jeffrey Dahmer in vita.

Già dal primo episodio possiamo notare come tutto sarà curato nei minimi dettagli, resteremo infatti affascinati dalla bravura degli attori, che ci faranno “rivivere” i momenti e le emozioni provate.

Nonostante la serie abbia riscontrato molto successo, le critiche non sono di certo mancate, a causa dell’inesattezza di alcuni avvenimenti. Una di queste è il ruolo del personaggio di Glenda Cleveland, la vicina di casa del “killer” infastidita dai comportamenti di Jeffrey nella serie, che in realtà abitava nel palazzo accanto e non aveva mai realmente parlato con lui. La critica più importante, però, è dovuta allo “sfruttamento” del trauma subito dalla famiglia delle vittime, non avvisate precedentemente da Ryan Murphy.

Il problema più “grave” di questa serie, non scaturito da essa, è dato dalla “romanticizzazione” del serial killer da parte di molti spettatori e molte spettatrici, che oltre ad essersi infatuat* di Evan Peters, hanno sviluppato una vera e propria “ossessione” per Jeffrey Dahmer, prendendone addirittura le difese ed empatizzando fin troppo con quest’ultimo. Bisogna ricordare, infatti, chi fosse realmente, nonostante le sue numerose problematiche, Jeffrey Dahmer: non un “semplice” serial killer bensì un cannibale e un necrofilo che drogava i malcapitati per poi farli a pezzi. Diciassette è il numero delle vittime, uomini e ragazzi quasi tutti omosessuali e per la maggior parte afroamericani, strappate ai propri cari.

Malgrado la cruda realtà visibile in questa serie, a parer nostro rimane comunque un grande capolavoro degno di attenzioni; per questo motivo ne consigliamo la visione, tenendo conto di ciò che è stato detto, ai meno suscettibili.

Anna Favacchio e Martina Brafa


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