Jazz e parole
- Scicliceo

 - 1 giorno fa
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Immaginate una band jazz sul palco: ogni musicista ha il suo strumento, la sua voce. Eppure, invece di suonare per conto proprio, i musicisti si ascoltano a vicenda. Quando il pianista improvvisa, il batterista lo segue, il contrabbassista lo incoraggia. Non è solo musica: è dialogo. Forse è proprio questo che spesso manca nella nostra società; oggi si tende a parlare tanto, ci si scambia messaggi sui social, ma chi ascolta davvero?
Nel jazz ogni nota ha un senso solo se messa in relazione con le altre: anche un assolo brillante diventa significativo solo perché dialoga con il resto della band. L’armonia nasce proprio quando le voci si ascoltano e si rispondono a vicenda.
Eppure molte voci, spesso le più giovani, restano inascoltate. Chi ha più visibilità viene accolto, mentre chi ne ha di meno viene ignorato. Proprio come in una band ogni musicista sostiene gli altri per creare armonia, le persone – e in particolare i giovani – dovrebbero unirsi per sostenersi a vicenda, valorizzando anche le voci più piccole per creare una melodia più ricca e armoniosa.
Improvvisare, nel jazz, richiede coraggio: è come esporsi senza sapere come andrà a finire. Anche i più grandi musicisti insegnano che l’errore può diventare musica, e questo ci spinge ad accettare il rischio di sbagliare. Dialogare è simile: significa mettersi in gioco, osare. Ma vuol dire anche aprirsi al confronto e non restare chiusi nelle proprie idee.
Oggi assistiamo a un mondo diviso da tensioni politiche o da conflitti, spesso nati dall’incapacità di ascoltare davvero chi è diverso da noi. È proprio questo il compito della musica: mettere in relazione e unire le persone, indipendentemente dalla nazionalità di queste ultime.
La cosa più importante nel dialogo è la convinzione che, sia che si parli con il capo di una nazione, sia che si parli con un concittadino, si può comunicare e ci si può comprendere in quanto esseri umani.
-Alberto Marullo


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