Non siamo nel Medioevo, ma un detenuto italiano dorme con topi e cimici nella stanza, si lava con acqua fredda, non ha finestre in cella e, se è “fortunato”, se ha la pelle più scura o è bisognoso di attenzioni particolari, viene declassato ed etichettato come “scarto”.
Questo non succede solo in Guatemala e in Sudan, che hanno alcune tra le carceri peggiori nel mondo, ma anche in Italia, dove i suicidi aumentano progressivamente ogni anno. Da ricordare anche i casi in cui un tentato suicidio non è andato a buon fine e il carcerato è poi deceduto, o quando si muore di stenti per lo sciopero della fame, mentre il sovraffollamento aumenta giornalmente e di cui i dati del 31 agosto indicano l’occupazione approssimativamente del 130,4% in più .
Una situazione già di per sé insostenibile è poi aggravata dalle forze dell’ordine, che, in aree non controllate da telecamere, ritengono perfettamente etico prendere a cinghiate sui genitali un detenuto dopo aver respinto un abuso sessuale, trascinare nudi per i corridoi i detenuti più fragili, picchiare un uomo ammanettato perché “tanto essendo di colore le loro deplorevoli azioni non avrebbero lasciato tracce sulla sua pelle”.
Ripeto, non si sta parlando di un’altra nazione bensì di un carcere a Trapani, a qualche ora di macchina da noi, che rappresenta tutt’altro che un caso isolato.
Questa è ciò che viene considerata la normalità: un sistema in cui alcuni partiti propongono di abolire il reato di tortura; la normalità dove i ragazzi non sono liberi di manifestare nelle strade delle loro città per dei valori in cui credono perché, altrimenti, vengono picchiati a sangue con dei manganelli, mentre uno stupratore gira libero e senza senso di colpa in attesa di un processo che avverrà tra mesi, se non anni, e in cui la “giustizia” è dalla sua parte.
Salvina Conti
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