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After Life: incontro (*scontro) tra genuino altruismo e disincantato cinismo

I want love so badly, I want you most of all, you know, it's harder to take it from anyone.

-David Bowie


Si dice che solo i comici più geniali sappiano far piangere il proprio pubblico. Si dice anche che Ricky Gervais sia uno dei comici più geniali. Ergo, se il ragionamento sillogistico di Aristotele non m’inganna, Ricky Gervais è uno dei comici più geniali, in grado anche di far piangere il proprio pubblico. Una contraddizione? No, After Life di Ricky Gervais.

Dopo due anni di silenzio, il 14 gennaio scorso After Life, serie televisiva diretta ed interpretata da Ricky Gervais, torna in vetta alle classifiche di Netflix in seguito alla distribuzione della tanto attesa terza ed ultima stagione.

La serie segue le vicende di Tony (Ricky Gervais), un giornalista di mezza età il quale, dopo la perdita della moglie Lisa (presentata solo tramite flashback e filmati ed interpretata da Kerry Godliman), causata da un cancro, precipita nel baratro della noncuranza di sé, ma soprattutto degli altri: Tony infatti, senza più alcun tipo di inibizione, dice e fa ciò che vuole, convinto di non poter perder più nulla, avendo già perso tutto, e che, in ogni caso, può suicidarsi in qualsiasi momento, così da porre fine al proprio travaglio. Inutili, nella prima stagione, i tentativi da parte degli amici di farlo ragionare, cercando di renderlo una persona migliore.

La seconda stagione è quella che funge da ponte tra la prima e l’ultima: Tony sta cambiando, o quantomeno ci sta provando. Ad erodere la montagna di angoscia e cinismo in cui si era rinchiuso sono due personaggi chiave della serie, già peraltro presenti nella prima stagione: Anne (Penelope Wilton) - una vedova il cui marito è sepolto accanto alla tomba di Lisa e che non perde occasione per impartire a Tony lezioni di saggezza e altruismo - ed Emma (Ashley Jensen) - la badante del padre di Tony - le quali lo aiutano a risalire quel baratro in cui era sprofondato. Ma un’altra triste novità lo costringe nuovamente a considerare l’idea del suicidio, sventato tuttavia dal suono del campanello di casa.

E questo ci porta dritti alla terza stagione: a suonare quel campanello era stata Emma, la quale prova ad instaurare con Tony un rapporto che vada oltre l’amicizia, ma Tony non è ancora pronto. Senza rinunciare al proprio sarcasmo, egli è disposto ad essere gentile e felice, ma sente che la sua felicità non possa dipendere da una donna che non sia Lisa, il cui silenzio dall’altra parte del talamo è ancora troppo rumoroso.

È vero: After Life, che un attimo prima fa sgorgare fiumi di lacrime, con in sottofondo capolavori siglati Radiohead o David Bowie, e l’attimo dopo fa sbellicare dal ridere mediante facezie British humour, tratta brillantemente di un fenomeno estremamente delicato e che può essere soggettivamente elaborato in maniere differenti; eppure riesce ad andare oltre, dando la possibilità a chi un lutto del genere fortunatamente non l’ha provato di immedesimarsi negli altri personaggi rappresentati, i cui difetti (che poi difetti non sono) dalla serie vengono esorcizzati.

After Life non si compone di mirabolanti res gestae e questa sua semplicità, che molti hanno biasimato ritenendola una banale debolezza, è invece il suo punto di forza, ciò che fa della serie uno specchio della realtà: come a volte accade nella vita reale, Tony sa cosa deve fare e come deve farlo, però non riesce, perché non tutti hanno la fortuna di sperimentare un The Notebook - ad altri tocca purtroppo (soprav)vivere un Requiem for a dream.



Gabriele Ferraro

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