Pensa agli Stati Uniti d’America e soffermati sui valori su cui sono fondati: uguaglianza, tolleranza, ma soprattutto libertà. Ecco, dimenticali. Pensa adesso a Donald J. Trump, a quello a cui la sua politica repubblicana ha dato vita (o incrementato) in questo mezzo mandato: nucleare, muri, armi. Immagina tutto questo, ma elevalo alla massima potenza. Ciò a cui stai pensando si avvicinerà probabilmente a Gilead, la visione distopica, ma non così lontana, degli USA.
June è una donna. O, per lo meno, lo era. Adesso è un’ancella e si chiama Difred. Il mondo post-nucleare non è più così florido e fertile: prima le piantagioni, poi i mari, ora le donne. Non si riesce più a fare figli. “Una punizione divina”, - dicono i comandanti - “bisogna ritrovare la retta via”. Le donne, quelle fertili, devono fare solo ed esclusivamente ciò che riesce loro meglio: partorire. June, infatti, è fortunata. June è un dono prezioso. June è fertile. June ogni mese, una volta al mese, ha la possibilità di creare un miracolo, per darlo (non donarlo) poi a chi spetta di dovere: al comandante ed alla sua sterile moglie. Nello stato di Gilead non c’è più spazio per la perversione, né per l’impudicizia o per la blasfemia. C’è solo Dio: unica soluzione ai problemi dell’umanità.
Il fittizio stato di Gilead, creato dalla sublime mente di Margaret Atwood nel 1990, non è altro che la degenerazione dell’ideale repubblicano estremista, esagerazione non così lontana dai nostri tempi. “The Handmaid’s tale” (o “Il racconto dell’ancella” in italiano) è una distopia sui generis che poco vuole allontanarsi dalle consuetudini odierne, ma che vuole criticare il più aspramente possibile le politiche conservatrici contemporanee. La Atwood, infatti, scrittrice ed attivista per le pari opportunità, già nei “repubblicanissimi” anni ‘90 si batteva per i diritti delle donne, e questo romanzo ne è la prova.
Romanzo da cui è stata tratta a partire dal 2017 un’omonima serie televisiva prodotta da Hulu. Un adattamento semplicemente perfetto che, prendendo forza dalla scrittura molto intrigante della Atwood (che in alcuni episodi si occupa della sceneggiatura), si destreggia con le immagini e con i suoni in un mondo cupo, senza la luce del sole, in cui il rosso delle ancelle spicca su tutto. Una serie stupefacente che ha catturato sia la critica che il pubblico, diventando di diritto, premio dopo premio, il miglior prodotto televisivo del 2017. Ad aver raccolto la maggior quantità di consensi è Elisabeth Moss, che recita la parte di June, la protagonista, interpretandola in una maniera impeccabile e ricalcando il più possibile con la sua performance il senso di paura, descritto nel romanzo, che porta la protagonista a sussurrare ogni sua parola. La sua prova attoriale è il valore assoluto della serie e ciò l’ha fatta notare in tutta Hollywood.
In conclusione, “The Handmaid’s tale” è una matura ed inedita riflessione sul femminismo, un’analisi scrupolosa dei “falsi valori” che ci circondano, una critica pungente alla chiusura mentale della politica dei nostri tempi.
Mattia Zisa
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