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EDITORIALE - E rumore fu

“Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia, bruciate tutto”

~Elena Cecchettin

Il 18 novembre 2023 non verrà ricordato soltanto per il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato due giorni prima della sua laurea; quanto più all’impatto mediatico e sociale che ottenne il discorso della sorella alla trasmissione “dritto e rovescio”. In diretta nazionale Elena Ceccettin, distrutta dal dolore della perdita, con una dignità disarmante denuncia la nostra società, “una società patriarcale pregna della cultura dello stupro”, di cui sono vittime tutti gli uomini, e invita a fare rumore, a bruciare tutto. Il rumore di cui parla Elena però, non è soltanto quello fatto dalle chiavi durante i flash mob in piazza, chiavi diventate il simbolo della violenza domestica; è quel rumore che fa sì che questa storia non venga dimenticata, che fa sì che Giulia non resti soltanto la numero 105; è quel rumore che da semplice suono sgradevole diventa rivoluzione culturale. La storia ci insegna che ciò è possibile, forse ci vorranno decenni affinché l’uomo abbandoni quello spirito di sopraffazione che lo porta a prevalere sulle donne, ma il rumore sveglia, soprattutto le istituzioni.

In particolare, in questi giorni la vicenda di Franca Viola, che con il suo rumore cambiò la storia, si fa più vicina che mai nei nostri ricordi. Era il 1966 quando Franca decise di imporre il proprio “no” al matrimonio riparatore con l’uomo che l’aveva rapita e poi stuprata all’età di 17 anni. In una Sicilia che ancora proteggeva i valori patriarcali e che chiamava “disonore” lo stupro, Franca e suo padre denunciano non solo Filippo Melodia ma anche un sistema arcaico in cui la forza e l’onore degli uomini vince sulla dignità delle donne. Il caso diventa subito mediatico, mette in difficoltà giudici e magistrati che per la prima volta decidono di andare contro il Codice penale secondo cui tramite il matrimonio,il reato veniva estinto e l’onore riparato. La legge sul matrimonio riparatore verrà abrogata sedici anni dopo, grazie al suo coraggio, alla sua voce, e alla voce di migliaia di donne scese in piazza, per la sua e per la loro emancipazione.

Anche per Giulia fu rumore dal primo istante, dal primo appello della sorella, dal 18 novembre al 5 dicembre, giorno del suo funerale, abbiamo assistito a folle incattivite, posti occupati in università, lezioni interrotte, minuti di silenzio e di chiasso. Poi il giorno del suo funerale. L’Italia in lutto.

Una folla di strazio, dolore ma anche solidarietà ha accompagnato il feretro di Giulia Cecchettin la mattina dei suoi funerali nella chiesa di Santa Giustina. Giornalisti e opinione pubblica hanno aspettato con fervore questo giorno, come se celebrarlo servisse a mettere un punto ad una storia che ha segnato la nostra esistenza, e che ha visto tutta la scena politica mobilitarsi per provare a trovare un senso e una soluzione a una tragedia ormai irreversibile. Giulia è stata uccisa, ma Gino ed Elena Cecchettin hanno deciso di non piegarsi di fronte ad un dolore così grande, e ancora una volta con le loro parole hanno reso memorabile questo giorno.

I giorni precedenti al suo funerale si è parlato tanto del suo assassino, Filippo Turetta; è stato analizzato da criminologi, psicologi, tuttologi del web, sappiamo tutto di lui, dalle sue abitudini da ragazzino viziato alla sua ossessione per Giulia, quasi a voler discolpare quel “bravo ragazzo di buona famiglia”.Eppure, in quella grigia mattinata di dicembre, è stata Elena a spostare il punto di vista sulla vera vittima di questa storia, è toccato a lei ricordarci chi era Giulia. Elena ci racconta di una vita spezzata alla ragazza più dolce e buona del mondo, ci racconta delle sue passioni, dei suoi hobby, delle sue paure, ci regala il ritratto perfetto di una Giulia che non sarebbe mai dovuta stare “tra le stelle con la mamma”.

E mentre la sorella pronuncia un discorso intimo e personale, Gino Cecchettin si appella agli uomini, tutti gli uomini, anche sé stesso. Non si aggrappa al consueto “not all man” per sottolineare la propria coscienza pulita, ma con una dignitosa prima persona plurale, invita ad una solida assunzione di responsabilità, invita al mea culpa, all’ascolto e alla lotta verso i primi segnali violenti. Poi l’appello alle famiglie, alle scuole e alle istituzioni poliche, terminando con un commovente saluto alla figlia.

Elena per la prima volta ha mostrato la sua fragilità di fronte a una platea che forse si aspettava urla e denunce contro un governo che non ha ancora portato avanti leggi a favore delle donne. Gino, invece, mostra la sua resilienza di fronte ad un dolore che non deve essere vano.

Questa umile famiglia veneta ha ben compreso che il cambiamento comincia dal linguaggio e dalle parole utilizzate: frasi dirette, crude e concise, che arrivano non soltanto dritte al cuore degli italiani ma dritte alla loro coscienza. Ed è proprio da qui che arriva la risposta a quanti si chiedono perché il caso di Giulia abbia fatto così scalpore. Pensiamo a quanto sia importante la forza delle parole, se quel 18 novembre Elena Cecchettin non avesse pronunciato quel discorso, se non avesse incitato a fare rumore, i funerali di Giulia sarebbero passati in secondo piano come quelli di tutte le altre. Invece erano in ottomila nel prato della chiesa, in mille al suo interno e in milioni in diretta nazionale, pronti ad ascoltarli ancora una volta.

Chiara Aprile

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