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Fast fashion, moda a basso costo ma a quali condizioni?

Negli ultimi decenni il fenomeno del fast fashion (letteralmente “moda veloce“) ha completamente rivoluzionato il mondo della moda. Si è diffuso lo shopping online, sono comparse le prime catene d’abbigliamento low cost, i vestiti si sono fatti più economici, ed è diventato dunque possibile indossare le ultime tendenze a prezzi accessibili a tutti. Nel cuore del fast fashion c’è un ciclo incessante di produzione e consumo che spinge le aziende di moda a produrre nuovi capi il più velocemente possibile e i consumatori ad acquistare sempre di più per restare al passo con le tendenze.

Ma come è possibile realizzare in grandi quantità e a prezzi convenienti una così vasta varietà di abiti?  Verranno impiegati materiali e regole che rispettano l’ambiente? In realtà, dietro al seducente basso costo di questi capi ci sono dei significativi impatti sociali e ambientali. Le grandi aziende, infatti, per ridurre i costi di produzione e aumentare i profitti si servono di politiche di sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente.

Innanzitutto, i materiali che vengono usati di più sono il poliestere e il cotone che pur avendo origine diversa sono egualmente problematici. Il poliestere, derivato dal petrolio, già dopo i primi lavaggi inizia a rilasciare microplastiche che poi finiscono nei mari; è anche poco traspirante, quindi, è nocivo sia per l’ambiente che per l’uomo. Il cotone che è di origine vegetale, quindi biodegradabile e traspirante, risulta invece inquinante per la sua lavorazione e produzione. Per processare il cotone le catene di abbigliamento low cost utilizzano ingenti quantità d’acqua e molti pesticidi; mentre la sua coltivazione intensiva ha gravato sui bacini idrici dei paesi in via di sviluppo causando rischi di siccità perenne, disboscamenti e vari problemi per la biodiversità e la qualità del suolo.

Un altro effetto dannoso per l’ambiente causato dall’industria del fast fashion è l’inquinamento dell’acqua potabile che spesso avviene con il processo di tintura, a causa dell’impiego di coloranti tossici e iper-economici. Nei paesi in via di sviluppo la situazione peggiora visto che l’acqua di scarto viene illegalmente scaricata nei fiumi e poi viene utilizzata dalle popolazioni locali per l’agricoltura e per esigenze quotidiane, mettendo così in serio pericolo la salute.

La moda fast fashion crea anche una grande quantità di rifiuti che possono essere capi invenduti o vestiti gettati dai consumatori dopo un breve uso e diventati così articoli usa e getta. Trattandosi per la maggior parte di fibre sintetiche, questi capi non possono essere smaltiti in modo naturale e rimangono ad inquinare discariche e terreni per anni rilasciando sostanze nocive nei suoli per poi finire negli inceneritori ed incrementare l’inquinamento atmosferico.

Affrontare il problema del fast fashion richiede uno sforzo collettivo da parte delle aziende, dei governi ma anche da parte di noi consumatori che attraverso scelte mirate come, acquistare da marche sostenibili o adottare un approccio più consapevole e responsabile agli acquisti, possiamo contribuire a salvaguardare il pianeta e il nostro futuro.

                                                  Anastasia Giallongo

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