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Il muro dell’omertà è stato abbattuto: verità per Stefano Cucchi

«Processo Cucchi. Udienza odierna, ore 11.21. Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi».

Sono queste le parole rilasciate da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a seguito dell’udienza dell’11 ottobre del processo sulla morte del ragazzo, avvenuta il 22 ottobre 2009 mentre si trovava sotto la custodia cautelare al carcere di Regina Coeli di Roma. Il muro di cui parla Ilaria è quello dell’omertà, che per 9 anni ha impedito alla famiglia Cucchi di conoscere la verità sulla causa della morte del trentunenne, nascosta dalla complicità di carabinieri e medici del carcere. Ad abbattere con coraggio questo muro è stato proprio uno dei cinque carabinieri imputati, Francesco Tedesco, che a inizio udienza ha ammesso di aver assistito al pestaggio, compiuto dai colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, e di aver provato a fermare i due.

È agghiacciante la descrizione delle varie fasi del pestaggio, avvenuto la stessa notte dell’arresto, il 15 ottobre 2009: «Fu un'azione combinata, Cucchi prima iniziò a perdere l'equilibrio per il calcio di D'Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l'equilibrio, provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore». Tedesco avrebbe poi provato a spingere Di Bernardo, «ma D'Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra». «Gli dissi: “basta, che c... fate, non vi permettete”», aggiunge Tedesco, mentre l’uno «colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto» e l'altro «gli dava un forte calcio con la punta del piede». Nel suo verbale, inoltre, il carabiniere racconta che al rientro presso il Comando stazione di Appia, ha perso di vista il ragazzo e non sa cosa possa essere successo nella notte. Ricorda bene però lo stato in cui si trovava Stefano la mattina successiva, poco prima dell’udienza per la conferma del fermo in carcere: «Ricordo che quel giorno il Cucchi camminava molto lentamente. (…) Posso dire che in effetti quella mattina era evidente che Stefano Cucchi aveva i segni di chi era stato picchiato». È in quel momento che Tedesco comincia a scrivere le annotazioni di servizio per segnalare gli eventi, documenti che successivamente sarebbero stati distrutti da ignoti. Tedesco racconta di essersi impaurito vedendo le sue annotazioni cancellate da un tratto di penna sulla copertina del fascicolo inviato al maresciallo Mandolini. Lo stesso maresciallo da cui, afferma il carabiniere, subì pesanti minacce qualche giorno dopo. «Mandolini, dandomi del lei e utilizzando un tono molto autoritario, mi rispose che avrei dovuto “stare tranquillo e adeguarmi alla linea dell’Arma”, altrimenti avrei perso il posto di lavoro». Minacce che hanno portato Tedesco a tacere per quasi 9 anni, fino a quando il 20 giugno scorso, dopo essere stato rinviato a giudizio nel 2017, ha deciso di presentare una denuncia ai magistrati. Adesso che i dubbi sono stati finalmente tolti, l’Italia intera aspetta i provvedimenti che verranno presi per ridare giustizia a Stefano.

Giovanni Calabrese

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