Scicli, come molti sappiamo, anticamente sorgeva sul colle di San Matteo, dove ancora oggi si trovano i resti di un castello circondato da mura, che rendeva l’abitato difficile da espugnare. Lo Storico Mariano Perello, nel suo opuscolo sull’antichità di Scicli, scrive di una torre triangolare all’interno del castello, la quale egli data a un’epoca ben più antica del castello stesso, assicurandoci che questa torre fu costruita dai Siculi (1000 a.C.).Questa torre resistette fino al terremoto del 1693, infatti il Perello, avendo vissuto negli anni precedenti al terremoto, ce la descrive nella sua originale forma, dicendo che la torre si innalzava di 30 metri e che in cima ad essa vi era scolpito un leone, simbolo della città di Scicli, ed una lapide dagli ignoti caratteri, che purtroppo trascurò a copiarla. Scicli fu una città murata, avente come punto di partenza e di arrivo il castello, facendo uso di difese naturali come dirupi e, nei tratti meno scoscesi, di mura. Lungo il versante della cava di Santa Maria la Nova vi era uno sperone roccioso detto “Steri”. Antonino Carioti pensava che in questo sperone vi sorgesse una “Magna Casa” detta appunto Steri, come il palazzo di Chiaramonte. Di fatto la Magna Casa era una torre, come si arguisce dai restanti pezzi sullo strapiombo. Il Carioti narra che sul colle vi erano 4 torri, di cui una di triangolare forma, un’altra in faccia al maestrale (nord-ovest), una che sovrastava la porta di Modica e una detta dell’Osterio che era nei pressi dell’antica città. Al di fuori delle suddette mura vi erano diverse torri, una delle quali si appellava della Botte che si ergeva nei pressi della chiesa di Santa Maria di Valverde, un’altra era nei pressi di Piazza Fontana, demolita per costruire il monastero delle Orfane, sotto nome della Concezione. Vi erano altre torri, simili alle precedenti, presso la contrada dell’Ispana. Attorno alle mura della città, oltre alle torri, ovviamente si trovavo delle porte per entrare e uscire dalla città, il Carioti ne conta sette, una delle quali si appellava di Siracusa, appunto perché da qui partiva la strada per questa città, la quale si trovava nei pressi del castello. Senza dubbio la più importante era quella di Modica, la cui strada conduceva alla capitale della Contea, questa porta resistette sino al 1830, di fatti il Carioti, che ha vissuto negli anni successivi al terremoto, la descrive com’era in origine, scrivendo che sull’arco di detta porta vi era uno stemma aragonese, ed il canonico Pacetto, anch’egli testimone oculare, scrive che al centro dell’arco di questa porta pendeva una gabbia con all’interno due teschi di malviventi giustiziati. le restanti cinque porte conducevano nelle città di Pozzallo, Sampieri, Donnalucata e Gela. Per la città di Scicli, come tutte le altre rocche medioevali, in caso di assedio, veniva difficile procurarsi l’acqua, a tale problema fu trovata la soluzione di scavare dei condotti sotterranei tra abitato e sorgenti. Riguardo Scicli, la tradizione parla di due gallerie, una ancora oggi esistente, detta delle Cento Scale, la quale aveva inizio nei pressi della porta di Modica, era lunga circa 36,5 metri e larga circa 1,5 metri. LA seconda, chiamata Via di Anselmo, era molto più lunga rispetto alle precedentemente detta, si estendeva per tutto il colle partendo dal castello e terminando al mulino della Botte, con una lunghezza di 380 metri, ed una larghezza tale da passarci due cavalieri e due pedoni affiancati.
Alessandro Iabichino
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