Quanto è difficile superarsi dopo aver dato già vita a più di un capolavoro di maestria cinematografica? Se potessimo, lo domanderemmo direttamente a Guillermo del Toro: solo nel 2017 ci aveva lasciati sbalorditi con “La forma dell’acqua – The Shape of Water”, fantasy romantico grazie al quale si aggiudica ben 4 Oscar tutti insieme, per la prima volta! Ad ogni modo egli decide di tornare sul grande schermo esplorando un nuovo genere, il noir, e lo fa tramite la trasposizione del romanzo omonimo di William Lindsay Gresham, già interpretato nel 1947: La fiera delle illusioni – Nightmare Alley. Ne è protagonista Bradley Cooper, in veste nuova per noi spettatori che aveva lasciato con “Il corriere – The Mule” e “A Star Is Born”, stavolta nei panni di Stan Carlisle, uomo dal passato ignoto ma facilmente intuibile come oscuro, date le fiamme di una casa della scena di apertura, da cui lo si vede allontanarsi dopo la messa in atto di un gesto che si scoprirà deplorevole proprio a fine pellicola. Egli allora vaga per l’America della Grande Depressione, alla ricerca di un lavoro, che trova in un luna park itinerante, dove conosce Pete, vecchio alcolista dal passato da abile mentalista. È così che Stanton vorrà apprendere i segreti di quell’arte, mettendoli poi con successo in pratica con l’aiuto di Molly, giovane della quale si sarebbe innamorato: neanche lei, infatti, frenerà l’incessante brama di denaro e potere dell’amato. Ad un certo punto farà la sua irruente comparsa quella femme fatale giunta direttamente dagli anni Quaranta interpretata da Cate Blanchett, che darà una decisiva svolta alla storia, portandola fino al gran sconvolgente finale. Tra gli altri attori che più contribuiscono al procedere piacevole del film, sebbene a tratti cruento, come classicamente piace al regista, oltre a Rooney Mara alias Molly, vi sono Willem Dafoe, Toni Collette, Paul Anderson e Mary Steenburgen. Vi è qualche riferimento ad alcune opere e analogie con altre: del classico “La strada” di Federico Fellini si notano i riferimenti concettuali e all’introspezione dei personaggi, alla cui indagine Del Toro dà grande spazio; oltre all’oggettivo omaggio al maestro, denoto come io abbia ritrovato la stessa durezza della vita data dalla forse celata crudeltà circense già rappresentata anni addietro in “Come l’acqua per gli elefanti”, che tanto ho apprezzato nella rappresentazione del pre spettacolo e di tutto quanto occorre dare reciprocamente per la soddisfacente resa di questo, che per l’appunto trovo similmente ben fatta. Che la figura di Willem Defoe non ricordi quella, nel sopracitato, di Christoph Waltz? In ogni caso, Del Toro ti fa apprezzare la sua coerenza nella ricorrente scelta di ambientazioni umide, lontane cronologicamente e spazialmente, raffigurante chi è ai margini, respirando la vera vita libera dai sordidi meccanismi sociali; eppure, quando la presa si sposta in città pare di tornare ai giorni nostri, quasi vi fosse un bug. A fine fiera, la magia cos’è: arte o illusione? Si strizza l’occhio allo spettatore nel deciderlo, mentre ci si chiede se quella sorta di partita rappresentata poteva essere giocata meglio sul finale, come tante cose nella vita di tutti i giorni.
Lisa Caruso
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