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Lanterne verdi

Per chi tenta di attraversare la frontiera polacca, disperatamente impelagato nella zona cuscinetto che la separa dalla Bielorussia, scorgere una luce verde alla finestra di un’abitazione rappresenta un ormai insperato baluardo di umanità. A condurli in queste zone di confine è una spregiudicata strategia, attuata dal presidente bielorusso Lukashenko con la tacita complicità della Russia: fin da agosto lo spazio aereo di competenza bielorussa è accessibile a Turchia, Egitto, Iraq e Siria, da cui numerosi migranti mediorientali, con voli di linea, giungono nel Paese, dove gli stessi soldati bielorussi li guidano all’ingresso illegale nell’Unione Europea, con la falsa promessa che in Polonia otterranno facilmente l’asilo politico.


É stato definito un “attacco ibrido” volto a destabilizzare l’Unione, ma di fatto è un deplorevole esempio di realpolitik ai danni di indifesi che si ritrovano in un limbo di stenti, poiché dalla tanto agognata frontiera polacca saranno nella maggior parte dei casi respinti e, impossibilitati a tornare indietro, costretti a lottare per la sopravvivenza nella foresta inospitale. Peraltro, in questa fascia, la Polonia ha proclamato lo stato di emergenza, il che si traduce in una sostanziale sospensione dei diritti civili: mentre abbondano posti di blocco, droni e veicoli militari, le comunicazioni telefoniche vengono intercettate e i social monitorati, i soccorsi negati e le città della zona blindate, per impedire l’accesso ai forestieri. Non solo, dunque, strumentalizzati secondo gli interessi di Lukashenko, ma anche traditi dall’ideale europeo; basti pensare che sono stati stanziati 700mila euro per garantire i servizi primari (cibo, coperte, kit di pronto soccorso) contro i 114,5 milioni destinati a Varsavia per la gestione delle frontiere. È stato puntualizzato che non si tratta di muri, ma di barriere fisiche, come se fosse una differenza radicale e non ipocrita indifferenza.


Poco più a nord, in Lituania, la situazione presenta poche differenze, perché, se almeno non è interdetto l’accesso alle ONG né i servizi ospedalieri ai migranti, la “difesa” è stata ritenuta più urgente che aiutare delle persone per le quali, a detta della premier Simonyte, non sussiste una minaccia alla vita. È il grande paradosso di un Paese, nonché dell’Unione intera, che vanta valori democratici ma non con chi li ricerca disperatamente, esemplificato da due scritte apparse su un muro vicino il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo (Grecia), incendiato un anno fa: “Welcome to Europe / Human Rights graveyard”. Proprio in Grecia, inoltre, grazie ai 300milioni di euro stanziati dalla Commissione europea, sono in costruzione campi che non possono non essere consideranti centri di detenzione, in cui essere accolti significa essere controllati, confinati, nascosti. Lo sanno bene anche coloro che percorrono la rotta mediterranea, cioè sbarcano sulle nostre coste, che, prima di ricevere assistenza, devono essere identificati con foto e impronte digitali, inseriti nel database AFIS, di cui la Polizia si serve per riconoscere i sospettati: non a caso dei 9milioni di individui segnalati, 7,8 sono stranieri, persino richiedenti asilo.


Dov’è, allora, la solidarietà? Proprio nelle lanterne verdi: le espongono coloro i quali desiderano offrire un rifugio temporaneo ai migranti nei pressi della frontiera polacca, ma anche in Italia hanno significato uno stimolo ad appelli e iniziative di varia natura. Ora che è tempo di feste, ricordiamoci che per tanti, abbandonati a se stessi, è tempo di morte: nel nostro piccolo, cerchiamo, al di là del proprio credo, di rappresentare per qualcuno la luce verde che rischiara le tenebre.



Paola Carpinteri

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