A partire dalla nostra Costituzione è possibile osservare come i diritti dei lavoratori non siano del tutto tutelati. In particolare, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro è possibile individuarne ben due:
ART. 4, primo comma: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
ART. 35: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
Ma quindi, perché il Primo Maggio è festa? E soprattutto perché festeggiamo i lavoratori?
Riconosciuta quasi in tutto il mondo e celebrata con manifestazioni e concerti di vario genere, ha lo scopo di ricordare le battaglie del passato per i diritti dei lavoratori e sostenere le rivendicazioni attuali. Risalendo alle origini, si può identificare la data di inizio di questa celebrazione con la fine dell’Ottocento, dettagliatamente il 4 maggio del 1887, quando ben quattro operai furono condannati a morte a Chicago in seguito agli scontri con la polizia avvenuti durante una dimostrazione per estendere le otto ore lavorative a tutti gli Stati Uniti. Furono poi i partiti socialisti di quasi tutto il mondo a stabilire che il giorno del Primo Maggio venisse dedicato alle lotte per il lavoro, fino a diventare come è oggi, una Festività Nazionale.
Nonostante ciò, però, oggi si parla del cosiddetto STILLICIDIO continuo delle morti, provocate da imprudenze e rischi che non si dovevano correre; pensare al fatto che in un anno le statistiche ci mostrano dati come mille morti sul lavoro, rappresenta una tragedia immane e inimmaginabile, in quanto ciascuna di esse è inaccettabile, per cui a cosa serve festeggiare se poi i dati ci mostrano che c’è almeno un ferito al minuto, un morto ogni otto ore per una media di minimo tre morti al giorno sul luogo di lavoro? In Italia negli ultimi anni si è diffuso l’uso di chiamare “morti bianche” i decessi causati da incidenti che avvengono sul luogo di lavoro o nel percorso da e verso esso. Prima si parlava di “caduti del lavoro” o addirittura di “omicidi del lavoro”, termine utilizzato prevalentemente negli anni 1960 dal movimento operaio con l’intento di enfatizzare la pericolosità connessa con l’intensificarsi delle attività industriali. Tali morti vengono definite bianche, come se avvenissero senza sangue, senza colpa di qualcuno, quasi casualmente. È invece bene distinguere queste morti da altri tipi di incidenti mortali, poiché mette in luce come queste tragedie potrebbero essere prevenute con adeguate misure di sicurezza e prevenzione. Le cause possono spaziare dal mancato rispetto delle normative sulla sicurezza nel luogo di lavoro, alla mancanza di informazione adeguata, o all’uso improprio di macchinari e attrezzature; per questo sarebbe bene informare i dipendenti dei rischi che devono affrontare andando ogni giorno a lavoro, applicando in maniera rigorosa i protocolli previsti dalla normativa nell’ambito antiinfortunistico. Solo attraverso una cooperazione stretta e un impegno condiviso possiamo sperare di porre fine a questo tragico fenomeno e proteggere la vita e il benessere dei lavoratori di tutto il mondo.
Maria Teresa Galanti e Ilaria Arrabito
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