Gli uiguri sono un’etnia che abita la regione autonoma cinese dello Xinjiang. Sono musulmani sunniti e la loro lingua è molto simile a quella turca. Negli ultimi vent’anni il governo pechinese si è accanito su questa regione e, in modo particolare, contro questa minoranza. Con il pretesto di scongiurare una minaccia terroristica da parte degli uiguri, i cinesi hanno condotto una politica di “lavaggio del cervello” sull’intera popolazione. In apparenza allo scopo di contrastare la disoccupazione nella zona, la Cina ha costruito dei campi di rieducazione, all’interno dei quali, secondo il governo cinese, le persone dovrebbero essere educate alla cultura cinese e allontanate dalle loro famiglie, tanto che le denunce di scomparse ad oggi sono moltissime. Non ci sono informazioni dettagliate al riguardo, ma, secondo un rapporto dell’ONU in cui sono raccolte anche testimonianze di alcuni uiguri fuggiti e successivamente emigrati all’estero, le modalità attuate dal governo cinese sarebbero tutt’altro che convenzionali. I testimoni hanno riferito che, entrati nelle strutture, sarebbero stati interrogati dai poliziotti sui presunti crimini da loro commessi. Questi interrogatori sarebbero durati anche ore e spesso le vittime sarebbero state costrette a confessare crimini di cui non erano nemmeno colpevoli: tutto ciò per legittimare gli atti compiuti all’interno dei campi per volontà dal governo cinese. Anche per riformare culturalmente questa popolazione, la Cina avrebbe iniziato una politica di colonizzazione da parte dell’etnia Han, favorendo così un mescolamento tra le due culture, tanto che, se nel 1953 l’etnia uigura rappresentava il 75% della popolazione, mentre l’altra il 7%, oggi la popolazione è costituita per il 45% da uiguri e per il 42% da Han. Le torture riportate dai testimoni sarebbero state sia di natura psicologica che di tipo fisico. Per quanto riguarda le prime, gli internati sarebbero sottoposti a un indottrinamento coercitivo sui valori del Partito Comunista Cinese, costretti a studiare e utilizzare il cinese mandarino al posto della loro lingua e a convertirsi alla religione buddista. Tra le torture di tipo fisico, invece, la più comune è la “tiger chair”, che consiste nel legare mani e piedi di una persona seduta su una sedia e successivamente percossa. Il “lavaggio del cervello” avverrebbe, inoltre, mediante l’uso di farmaci non specificati con cui sarebbero trattati tutti gli internati. Le donne, per di più, qualora fossero incinte, sarebbero obbligate ad abortire. Tutto ciò contribuisce alla creazione di una sorte di classe operaia o contadina, docile e sottomessa. A chi si chiedesse come è possibile evitarlo, rispondiamo che in primis bisognerebbe smettere di rifornire questa “macchina di schiavitù”, non comprando indumenti dalle multinazionali occidentali che comprano il cotone dalla Cina, poiché lo Xinjiang produce un quinto della produzione mondiale di cotone con un costo, sia del prodotto che della manodopera, quasi inesistente.
Marco Mirabella e Bartolomeo Lopes
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