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Niente di nuovo sul fronte occidentale

“Non riuscirò a buttare via due anni di bombe come un paio di calzini. Non ci libereremo mai del fetore.”

Paul Bäumer

Se siete all’ultimo anno delle superiori, nel momento in cui starete leggendo questo articolo avrete con ogni probabilità già studiato il primo conflitto mondiale. Non me ne vogliate dunque, voi maturandi, se vi sto proponendo un argomento su cui avete addirittura fatto un’interrogazione.

Dopo le precedenti pellicole di Lewis Milestone (del 1930) e di Delbert Mann (del 1979), Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger è il terzo adattamento cinematografico dell'omonimo e celeberrimo romanzo di Erich Maria Remarque. Approdato su Netflix il 28 ottobre scorso e selezionato per rappresentare la Germania ai Premi Oscar 2023 nella categoria “Miglior film internazionale”, il film segue le vicende del diciassettenne Paul Bäumer e dei suoi amici che, tre anni dopo lo scoppio della Grande guerra, decidono allegramente di arruolarsi nell’esercito tedesco. Il loro eroico patriottismo, tuttavia, è destinato ad infrangersi contro la dura realtà della guerra di posizione, che interessa, sin dall’alba delle ostilità, proprio quel fronte occidentale su cui vengono inviati a combattere, al confine tra Francia e Germania.

Se nel 1930 e nel 1979 a trasporre il romanzo di Remarque sul grande schermo erano stati gli americani, nel Niente di nuovo sul fronte occidentale di Berger sono invece i tedeschi a raccontare gli orrori della prima guerra mondiale e l’angoscia provata dai soldati a causa della guerra di trincea che, oltre ad aver causato più di tre milioni di morti, logorò la psiche dei giovani combattenti tedeschi, così come quella dei loro coetanei tra le schiere nemiche. La nitida fotografia e la colonna sonora si congiungono a formare un drammatico binomio che conferisce alle scene un elevato quantitativo di tragicità, con cui lo spettatore convive per l’intera durata del film. La maestria di Berger risiede anche nel riportare sul grande schermo alcuni aspetti della guerra spesso trascurati, come la meccanizzazione del lavoro manifatturiero femminile, volto al riciclo delle uniformi di soldati precedentemente caduti in battaglia. Inoltre, come negli antecedenti Dunkirk e 1917, anche nel film di Berger si riporta fedelmente la realtà bellica senza inibizioni romanticizzate: viene infatti mostrata la squallida, micidiale e ansiogena condizione in cui si ritrovarono a vivere coloro che sulle pagine dei giornali dell’epoca venivano considerati nemici, se stranieri, ed eroi, se compatrioti.

Ora, benché fautore di Hegel, mi permetto di dissentire dal filosofo di Stoccarda, secondo cui la guerra è necessaria alle popolazioni per evitare la fossilizzazione delle stesse nella medesima misura in cui il vento è fondamentale alle acque per far sì che queste non vengano intaccate dalla putredine. Prediligo piuttosto il pensiero kantiano, secondo il quale è necessario un patto diplomatico che unisca tutte le nazioni in una situazione di pace perpetua. È, infatti, inconcepibile che per le mire espansionistiche e, soprattutto, per l’orgoglio di pochi, abbiano dovuto perdere la vita innumerevoli innocenti in quell’orribile partita a scacchi che è la guerra. E ancor più impensabile è che sia così tutt’oggi. “Corsi e ricorsi storici”, sentenziava qualcuno…

Gabriele Ferraro


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