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Ogni vittima merita rispetto”

Da qualche anno si è soliti celebrare il 10 febbraio il “Giorno del Ricordo” in memoria dei massacri delle foibe. Questa ricorrenza è stata istituita il 30 marzo 2004, scegliendo il 10 febbraio in memoria del Trattato di Parigi, firmato nella medesima data del 1947, con il quale si stabilì che fossero annessi alla Jugoslavia i precedenti possedimenti italiani: l’Istria, il Quarnaro, Zara e la maggior parte della Venezia Giulia.

Si tratta di eccidi a danni di militari e civili italiani, abitanti di quelle zone, da parte dei comunisti titini; gli storici Pupo e Spazzali, tra i massimi studiosi del fenomeno, affermano che le vittime ammontano a numeri compresi tra 3.500 e 5.500. Successivamente vi fu quell’emigrazione forzata dei cittadini italiani dalla Venezia Giulia, nota come “esodo giuliano-dalmata”, durante il quale si stima che circa 250.000/350.000 persone furono espatriate.

Per molto tempo non si è discusso di questa pagina di storia, che tutt’oggi crea molta confusione e disorientamento, soprattutto poiché gli avvenimenti non vengono narrati con chiarezza, ma distorti per esigenze ideologiche. Un tale disinteresse si verifica poiché furono i vincitori, i partigiani jugoslavi, e non i fascisti a macchiarsi di simili crimini. Anche per questo motivo nacque la necessità politica di istituire una giornata in memoria delle foibe. Infatti, rifacendoci alle opinioni dello storico Alessandro Barbero, con la Giornata del Ricordo si vuole controbilanciare quella giornata cara ai comunisti, che è il 25 aprile, facendo ricadere il fardello degli eccidi su quest’ultimi.

Nonostante ciò, quello delle foibe è un evento che deve essere ricordato, ma non con un valore emblematico, dipingendo uno scenario in cui i partigiani titini si comportarono da carnefici nei confronti degli “innocenti” fascisti, piuttosto si devono richiamare alla mente le innumerevoli prevaricazioni ed atrocità commesse proprio dagli italiani fascisti nei confronti di quelle popolazioni. Infatti quei territori furono annessi al Regno di Italia nel 1918, ma dopo la salita del regime fascista con a capo Mussolini furono sottoposti all’italianizzazione forzata, un tentativo del duce di privatizzazione della lingua e della cultura di quei popoli “italo-svevi”, come definiva lo scrittore. E fu così che il 1° ottobre 1923, con la “Riforma scolastica Gentile”, fu abolito l’insegnamento del croato e dello sloveno, per poi imporre nel ’29 l’utilizzo della lingua italiana negli uffici pubblici e l’italianizzazione dei cognomi. Tuttavia, la situazione precipitò con la “Circolare 3c” del generale Mario Roatta, con la quale si stabiliva per legge la fucilazione degli oppositori. Uno degli episodi più cruenti si verificò il 12 luglio 1942, presso Podhum, dove 91 uomini furono fucilati e i restanti abitanti deportati ad Arbe. Questo era il contesto che esasperò l’avversione nei confronti degli italiani e condusse, dopo la caduta del regime nel ’43, a molteplici massacri vendicativi verso ex membri del regime e oppositori politici, includendo civili innocenti. Per tale motivo è importante celebrare le foibe, poiché, come disse Gobetti: “Ogni sofferenza anche individuale ha un valore in sé. Ogni singola vittima innocente merita rispetto.



Mattia Trovato

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