La morte di Totò Riina, boss della mafia siciliana, avvenuta il 17 novembre 2017, non ha posto fine all'attività mafiosa, bensì pare proprio che abbia dato origine a una sua forma più evoluta.
A cogliere l’eredità del “capo dei capi” è stato infatti Settimo Mineo, un gioielliere ottantenne di Palermo, eletto il 29 maggio dello scorso anno nuovo boss di “Cosa nostra” dalla Commissione Provinciale, la cosiddetta “Cupola”: un organismo imprescindibile nella struttura gerarchica mafiosa, che ha il potere di prendere le decisioni più importanti.
Mineo non ha certamente deluso le aspettative e, con la collaborazione di altri tre boss di lunga esperienza che lo hanno affiancato in questi mesi, la Cupola è tornata a riunirsi affinando le proprie strategie economiche.
Il business di Cosa nostra è, in effetti, molto elaborato: dal traffico di droga, ormai una costante negli affari di mafia, alle scommesse online fino addirittura ad attività legate all'energia alternativa, un interesse che si presenta come ottimo mezzo per ottenere fondi pubblici. Però, la mafia resta anche fedele alle “vecchie maniere” per arricchirsi, come le estorsioni. È il caso della riscossione del “pizzo” di cui anche la Cupola di Mineo si è occupata, prendendo di mira imprenditori e commercianti, tra cui soltanto nove hanno avuto la grande dose di coraggio necessaria a denunciare l’accaduto.
Proprio queste denunce, insieme all'intercettazione della Procura Antimafia in cui Francesco Colletti, un componente della Cupola, raccontava al suo autista di una delle riunioni avvenute, hanno incastrato Mineo e i suoi collaboratori e attirato l’attenzione dei carabinieri del Nucleo Investigativo, i quali hanno avviato la cosiddetta operazione “Cupola 2.0”.
Quest’ultima ha permesso di scoprire dettagliatamente le nuove regole e i nuovi interessi di Cosa Nostra, conducendo peraltro all’arresto di ben 46 persone, ritenute responsabili a vario titolo di “associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni consumate e tentate, con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, fittizia intestazione di beni aggravata, porto abusivo di armi comuni da sparo, danneggiamento a mezzo incendio, concorso esterno in associazione mafiosa”. Insomma, si tratta di coloro che hanno supportato e favorito il nuovo tentativo di ristabilire il potere della Cupola palermitana e che hanno preso parte alle sue iniziative.
L’efficiente lavoro compiuto dalle Forze dell’Ordine del nostro Paese nelle indagini effettuate ha dimostrato ancora una volta le loro capacità nella lotta contro la mafia. Si tratta di una resistenza che va avanti da anni, grazie all'impegno costante di persone come i magistrati e i carabinieri della Procura antimafia e anche a quello dei cittadini onesti che vivono nel rispetto della legalità.
Episodi come questo, dunque, non possono che farci riflettere sull'importanza che questa lotta ha ancora al giorno d’oggi, e ci fanno conoscere anche il “nuovo volto” della mafia: non quello delle sparatorie per le strade, ormai inusuale, ma quello che agisce silenziosamente e che preferisce alle forme di violenza criminali il potere economico e finanziario.
Paola Carpinteri
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