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Recensione di “Come d’aria”

“Io sono il mio corpo, che accumula segni, ferite, cicatrici. Corpo che è il mio sigillo, testo che parla di me.”


Il corpo, come tutto, non è sempre impeccabile: è naturale che rechi delle imperfezioni. Queste, nel caso di Daria, si sono manifestate in una condizione malformativa detta oloprosencefalia. I momenti successivi a questa diagnosi sono descritti dalla madre, Ada, come una “grande fuga”: avere un figlio disabile significa essere soli. La solitudine diventa l’unica compagnia per Ada, che si fa forza, ripetendo a se stessa che può sopportare tutto se è in grado di assistere impotente al dolore della sua stessa carne. Che importanza ha una telefonata che non arriva quando una madre sente la sofferenza della figlia e non riesce a trovarne la cura? Ma Ada lo sa: è la vita che li chiama. La stessa vita che lei sognava di riempire con viaggi ed esperienze insieme alla sua Daria, la cui malformazione non era stata diagnosticata dall’ecografia prima della nascita. Dato lo sconvolgimento della sua realtà, non riesce a fare a meno di tormentarsi cercando inutilmente un colpevole o una causa scatenante, e arrivando alla conclusione che, quella della figlia non sarebbe mai stata una vita degna di essere chiamata tale. Sulla soglia dei cinquant’anni Ada scopre di avere un tumore… e questa scoperta la spinge a raccontare alla figlia la loro storia.


Come d’aria è, tra tutti, il romanzo che mi ha colpito maggiormente: è una storia di amore, ostacoli e forza, che insegna che le avversità non sono fatte per abbattere, ma per incoraggiare.

Sara Aprile



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