È un arco continuo che si estende tra due Oceani e ingloba i due Stati più popolosi al mondo (India e Cina) nonché quattro delle maggiori economie mondiali (USA, Cina, Giappone, India): dall’Indo-Pacifico non si può prescindere per definire gli equilibri geopolitici internazionali.
Proprio in questo contesto si compendiano, da un lato, l’estrema parcellizzazione in molteplici unità politiche e culturali spesso in netto contrasto tra loro, dall’altro l’interdipendenza tra i diversi Paesi conseguente all’ormai sempre più pervasiva globalizzazione. Indiscutibilmente, gli attori protagonisti su questo scenario sono Stati Uniti e Cina, che vi trovano fortemente accentuata la polarità delle loro relazioni.
Basti pensare alle notizie che ci sono giunte di recente circa la continua presenza di jet militari cinesi nello spazio aereo al confine di quello di Taiwan, ossia la Repubblica di Cina, de facto indipendente rispetto alla Repubblica Popolare Cinese (la Cina continentale), sulla quale però quest’ultima mira a imporre la propria egemonia. La “One China Policy”, ovvero quella politica che si può enucleare nel principio “un Paese, due sistemi” e che prevede che, nonostante la formale sovranità cinese, esistano zone dotate di una propria autonomia, nell’isola di Taiwan è insomma compromessa, proprio come accaduto ad Hong Kong e a Macao, che solo pochi mesi fa sono stati normalizzati nell’ambito del regime comunista. I taiwanesi non si definiscono cinesi, ma nelle mire di Xi Jinping la (ri)unificazione (le parti non sono concordi nel riconoscere se l’isola sia mai stata annessa dalla Cina) è inevitabile, sebbene possa essere precipitoso collocarla nel prossimo futuro.
Eppure, la tensione scatenata da queste schermaglie ha innescato la reazione statunitense, volta a raddoppiare l’impegno militare degli USA in questa regione, mediante l’implementazione di nuove strategie. Due sono i termini cruciali di questo disegno: “Quad” e “AUKUS”. La prima è un’alleanza stipulata dagli Stati Uniti con India, Giappone e Australia, dispregiativamente ribattezzata dalla Cina come NATO asiatica; il secondo è invece un nuovo patto trilaterale, che coinvolge Australia e Regno Unito ed ha suscitato scalpore per il cosiddetto “affaire sottomarini”. In effetti, l’obiettivo di AUKUS è la condivisione di tecnologie per la cybersicurezza, l’intelligenza artificiale e la difesa navale, la quale inerisce soprattutto alla costruzione di sottomarini a propulsione nucleare di cui, pur rifiutando un arsenale atomico, l’Australia si doterà (ma non saranno ultimati prima del 2040). Tuttavia, in tema di sottomarini, esisteva già un accordo tra Francia e Australia, che risulterebbe così tradito.
Inoltre, occorre notare che, benché non vi abbiano mai fatto diretto riferimento, gli USA hanno compiuto queste decisioni in chiave anti-Pechino, adottando una mentalità da Guerra Fredda oramai in parte anacronistica e recuperando la politica del “containment” allora elaborata. In quest’ottica, pertanto, le azioni provocatorie cinesi verso Taiwan sarebbero da interpretare sia come la causa dell’impegno statunitense, sia come la risposta di uno Stato disposto a fronteggiare i propri rivali pur di non frenare la propria crescita.
Dunque, se l’Indo-Pacifico sembrerebbe essere il terreno scelto per un confronto, diplomatico e militare, tra le due superpotenze, quale funzione ricoprirà l’Europa? Confinata ai margini della questione, frammentata perché inglobata, con vincoli differenti, nella sfera d’influenza di ambo i Paesi, l’UE appare destinata ad adeguarsi ex-post al bilancio conclusivo, ancora ignoto, delle vicende, subendone, però, nel frattempo, danni economici e scontandone una tensione non indifferente.
Paola Carpinteri

Comments