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Disciplinare il progresso: è una scelta possibile?

  • Immagine del redattore: Scicliceo
    Scicliceo
  • 20 mag 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 21 mag 2021

“La tecnologia non è né buona né cattiva; ma non è neppure neutrale” recita la cosiddetta “prima legge della tecnologia” formulata nel 1986. Oggi è divenuto un assioma, spesso usato per invocare prudenza sul Web. Eppure, con il progresso tecnologico, i rischi a proposito di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali degli individui appaiono impossibili da contenere esclusivamente sensibilizzando i cittadini. Pertanto, regolamentare sembrerebbe la via più efficace da percorrere, almeno per l’Unione Europea, che nel 2018 ha intrapreso, con la Dichiarazione di cooperazione sull’Intelligenza Artificiale, un’opera strategica volta a promuovere e allo stesso tempo regolare una tra le tecnologie più adatte a plasmare un futuro digitale. In realtà, con l’acronimo IA (o AI, Artificial Intelligence) si fa propriamente riferimento a una vasta gamma di sistemi che, dopo aver acquisito dati dall’ambiente, si comportano in modo intelligente perché capaci di compiere azioni, non soltanto in senso materiale ma anche facendo previsioni, offrendo suggerimenti o prendendo decisioni.

Di recente, la Commissione Europea ha proposto un quadro normativo che costituisce il primo al mondo di questo genere, e prevede, in estrema sintesi, una classificazione dei sistemi di IA sulla base del rischio (inaccettabile, elevato, limitato o minimo) in essi connaturato e un conseguente processo di valutazione che consentirebbe l’immissione nel mercato solo dietro registrazione in una banca dati dell’UE e firma di una dichiarazione di conformità ai suoi requisiti. Ciò significa, ad esempio, che vengono banditi i sistemi nazionali di credito sociale, come quello che pare miri a implementare la Cina, mediante un enorme database che raccolga informazioni su ogni azienda e cittadino in modo da attribuire a ciascuno un punteggio, a seconda del quale si ottengono benefici o svantaggi. D’altra parte, nella stessa giornata è stato pubblicato un piano coordinato, nel quale si definiscono gli obiettivi finalizzati a valorizzare l’IA in Europa, come l’istituzione di un partenariato tra il settore pubblico e l’industria e di nuovi poli di ricerca per condurre sperimentazioni, nonché di una banca dati per garantire l’accesso alle risorse disponibili. Insomma, l’UE si dimostra particolarmente ambiziosa, nella speranza di assumere il ruolo di leader in un contesto dominato da soggetti ad essa estranei. Leggendo il Libro bianco sull’intelligenza artificiale, il compendio sul tema pubblicato nello scorso anno dalla Commissione, ricorre, in effetti, l’espressione “approccio europeo”: quello che si sta tentando è integrare le aspirazioni economiche con i valori dell’Unione, in una prospettiva antropocentrica che vede il cittadino inserito in un “ecosistema di fiducia”. Il fine è indubbiamente ammirevole, poiché per la prima volta si affronta in modo concreto e pragmatico la questione anche sul piano etico; tuttavia, non può non insinuarsi, seppur latente, il dubbio che le azioni previste riescano a concretarsi solo secondo una delle due direttrici individuate, cioè che si possa o burocratizzare lo sviluppo tecnologico o incentivarlo. Attualmente, in fondo, non è dato sapere se sia utopico pensare che la tecnologia possa garantire il rispetto di principi quali l’equità, la libertà di espressione o la democrazia, ma si spera che l’impegno europeo non sia vano.

Paola Carpinteri

 
 
 

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