Horror vacui: locuzione latina che significa letteralmente terrore del vuoto
Il tempo passato a sfogliare il catalogo di ogni piattaforma streaming esistente, quello passato a leggere qualsiasi libro che capita sotto tiro, quello passato a scorrere la home di un social che avevamo chiuso giusto due minuti prima.
Ogni minuto libero dallo studio, dal lavoro, dagli impegni diventa un vuoto da colmare, tutto culmina in una sola cosa: il costante bisogno di essere intrattenuti.
Alcuni direbbero che è semplicemente un modo di non perdere nemmeno un momento, un tentativo di sfruttare ogni occasione, di vivere la vita appieno.
E se invece questa necessità fosse dettata da altro?
Non sto necessariamente alludendo ad una incapacità dello stare in assenza di forme di intrattenimento, perché sono convinta che per quanto questo possa risultare difficile sia comunque possibile, quanto più ad un compulsivo bisogno di impiegare il tempo libero.
Ovviamente le modalità con cui ciò avviene sono molte e varie, a diversi “silenzi” o “vuoti” corrispondono diverse modalità di intrattenimento e anche diversi motivi (inconsci o subconsci che siano) per la nostra scelta. La differenza che corre tra una serie TV guardata distrattamente mentre si fa colazione e il podcast ascoltato ad orecchie tese mentre si è in auto non è così sottile. E non mi riferisco ad una disparità di qualità, ma alla diversità delle motivazioni alla base della nostra scelta. La prima magari risulta fine a sé stessa, non ci lascia nessun particolare stimolo e non suscita alcuna particolare riflessione, la seconda invece risponde ad una curiosità o ad una esigenza educativa più o meno profonda.
Lungi da me giudicare una forma superiore all’altra, una ci permette di distrarci da una realtà che talvolta risulta fin troppo pesante, mentre l’altra ci aiuta nella sua comprensione.
Sembrerebbe quasi logico arrivare alla conclusione che consumando continuamente un determinato prodotto questo arrivi a perdere valore ai nostri occhi.
È vero, rileggere un libro non sarà mai come leggerlo per la prima volta, così anche per l’ascolto di un album o la visione di una serie TV, certo, se ne continuano ad apprezzare gli aspetti tecnici e ci fanno emozionare lo stesso, ma mai come la prima volta.
Ma da qui a dire che ciò implica una perdita o diminuzione di rilevanza si salta un passaggio alquanto evidente: integrare a tal punto un prodotto nella nostra quotidianità è, secondo me, indice di un attaccamento che non può suggerire in alcun modo un calo di valore.
Ed è questo tipo di dinamica che poi porta ai cosiddetti “comfort character”, “comfort book”, “comfort movie” e così via.
Urban dictionary definisce così comfort character: “Un comfort character è un personaggio, proveniente da uno spettacolo televisivo, un gioco, un libro ecc. che fa sentire il consumatore al sicuro e offre loro conforto”.
Pensare che ci siano personaggi (o libri, film, cantanti) talmente radicati nella nostra quotidianità (o che un tempo lo erano) da essere un frequente rifugio mostra e spiega quelle dinamiche che forse si trovano proprio alla base del horror vacui.
Questa paura del vuoto e la conseguente urgenza di essere costantemente svagati risultano radicate in una incessante ricerca di un contesto in cui ci sentiamo più sicuri.
Contesti che possono tra l’altro tranquillamente rispondere sia all'esigenza di evasione che a quella formativa.
Tutti questi meccanismi si possono forse ricondurre a maniere più o meno lievi di bovarismo e questo in definitiva la dice lunga su quanto effettivamente la società in cui viviamo risulti a noi poco soddisfacente.
Mariagloria Parisi
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