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EDITORIALE: TENDENZA

Tendere. Un termine polivalente, ambiguo, forse anche abusato alle volte.

Succede che un modo di vestire, di mangiare o di vivere sia di tendenza. Talvolta, quando, andando avanti, realizziamo di essere impossibilitati a proseguire verso questa o quella direzione, ci sentiamo come se qualcuno ci avesse teso una trappola.  E se l’altro si mostra disposto ad aiutarci, tenderà la mano per tirarci su. È proprio così: alcune persone tendono al bene, altre al male; in ogni caso la cosa più importante è tendere a migliorarsi.


Fuor di metafora e lontano da qualsiasi scioglilingua possibile, il verbo “tendere” si manifesta a noi come un’occasione per riflettere su quelle cose verso cui giornalmente siamo propensi, consciamente o non. Già nella lingua latina questo verbo ha una ventina di accezioni differenti: può voler dire “dirigere, erigere, stendere, tramare o rimandare” se preso come transitivo; oppure “aspirare, mirare, accamparsi, perseverare, parteggiare” se considerato intransitivo. Insomma, in tutte le sue sfaccettature, questo termine vuole indicare uno spostamento in avanti. È nella natura dell’uomo, infatti, essere mutevoli e cercare il nuovo; anche quando vogliamo tornare a qualcosa che è stato, rivolgiamo necessariamente i nostri sforzi in avanti, ovvero verso un cambiamento.

Ora, si prenda come riferimento il mito di Orfeo ed Euridice. Secondo certe interpretazioni recenti (vedi Bufalino), il celebre cantore greco non si è girato verso l’amata per curiosità o per amore, bensì perché già propenso a perderla. Infatti, la tendenza è quella di essere attratti dalla celebrazione del dolore.

In sostanza, è quello che oggi accade sui social: cerchiamo qualcosa che faccia parlare, qualcosa che ci faccia apparire. Chi più chi meno, manifestiamo una certa insofferenza che ci porta a voler far parlare di noi. Anche gli artisti, sui social come nella realtà, sono figure sempre più complesse, lungi dall’essere solamente portatori di valori culturali. Talvolta sono proprio gli artisti ad essere vittime della tendenza, non riuscendo a reggere l’assenza di anonimato o il peso delle aspettative dei seguaci.

A proposito di arte, è stato installato il “Pulcinella” del designer ligure Gaetano Pesce. Pensato come tributo alla città partenopea, è stato intitolato “Tu si na’ cosa grande”. Tra chi non riesce a non intravedere una forma fallica e chi vi riconosce un totem, quest'opera d’arte contemporanea ha raccolto molteplici critiche, nello sconcerto generale. Il sindaco Gaetano Manfredi, ottimista, sostiene: “L’arte contemporanea deve far discutere, il dibattito è segno di una città viva”.

Purtroppo, quell’insofferenza sopra citata non sfocia solamente nel desiderio di avere i riflettori puntati addosso. Durante le tappe evolutive, l’uomo avrà perso la chiave d’accesso alla bellezza dell’universo, rimanendo eternamente insoddisfatto e imperfetto. Dunque, spesso e volentieri ha scelto di intraprendere strade pericolose, come quella della guerra. Sarà allora che la guerra è proprio una prerogativa dell’uomo o una sua inclinazione naturale; combattere è di certo una tendenza.

E nascondiamo la nostra pretesa di perfezione dietro azioni e discorsi infarciti di pesantezza, retorica, idealismo. Si pensi ad esempio alla politica. Un politico non può permettersi di essere ambiguo: i suoi discorsi dovrebbero tendere alla semplicità, quindi essere accessibili e intuitivi.

“Scicliceo” si prefigge, dunque, di essere accessibile e di promuovere un’informazione autentica. “Scicliceo” vuole essere un faro nella nebbia dell’ipocrisia.


Andrea Pisana

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