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“Vi piace lamentarvi che questi numeri asciutti sono l’opposto della poesia! […] E la geometria non è pura gioia?”

  • Immagine del redattore: Scicliceo
    Scicliceo
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

Le Corbusier, celebre architetto e urbanista nella storia dell’architettura contemporanea, con queste parole intendeva indignarsi di fronte alla possibilità che venisse ignorata la bellezza matematica che sta dietro a ogni costruzione dell’uomo.

Questa citazione è in grado di aprire un dibattito tra i termini “caos” e “ordine”.

Siamo tentati dall’associare la poesia, l’arte, la bellezza in generale, a ciò che non può essere quantificato. Ci convinciamo che la matematica rovini ogni cosa. D’altra parte associamo ai numeri ciò che superficialmente appare chiuso in sé stesso, inerte, incapace dunque di smuoverci qualcosa all’interno.

La realtà, che prescinde dai nostri pregiudizi, è forse ben più complessa di così.

Interroghiamoci: cos’è il caos? E cosa è definibile come ordinato?

Noi siamo caos. La Natura è caos. Eppure sia il corpo umano sia la Natura sono sistemi quasi perfetti, in grado di alternare fasi di nascita, sviluppo, decadimento e resilienza. Si pensi al corpo che si difende dall’intrusione di un virus oppure al rapporto simbiotico tra funghi e piante. In effetti, i Greci, inizialmente, concepivano il Caos non come disordine, bensì come spazio aperto.

L’uomo è infatti uno spazio aperto. Siamo liberi di crearci da soli, di dare vita alla nostra sorte; liberi anche di affondare o riemergere. La Natura, allo stesso modo, stabilisce i suoi ritmi e i suoi limiti. È proprio arrivati a questo punto che si delinea più facilmente il concetto di ordine. L’ordine “umano” è la facoltà di imporci sui limiti che la Natura ci pone. Il caos, che ora capiamo essere possibilità, diventa così promotore della vita.

Chi siamo senza limiti? La maggior parte degli esseri umani necessita sempre di qualcosa di stravolgente verso cui tendere: una persona diametralmente opposta a noi, un libro proibito, un’architettura fuori contesto.

Tuttavia, per vincere la natura bisogna collaborare in tanti, tutti con la stessa meta da raggiungere. Si pensi a uno di quei rigorosi viali alberati con tutti gli alberi della stessa varietà e stessa altezza: chi li ha piantati poteva pensare benissimo di mettere due alberi più vicini della stessa varietà e tre più lontani di un’altra varietà, ma l’effetto finale non sarebbe stato lo stesso. Si pensi a un bel portico in quel di Torino o Bologna: la sua vista ci garba per il rigore e la sequenzialità, che hanno previsto il sacrificio dell’architetto di non poter manifestare la propria originalità creativa. Godere della bellezza dell’ordine vuol dire infatti coglierne la complessità di fondo e il sacrificio del singolo.

Non si sta facendo un inno all’omogenizzazione. È pure necessario che siamo sempre originali, sconvolgenti l’uno nei confronti dell’altro, ma potrebbe essere importante valutare l’obiettivo ultimo degli umani: convivere. Del resto Aristotele definisce l’uomo come “animale politico”.

Sarebbe proficuo pensare l’umanità, pure nelle sue varie articolazioni sociali, come un corpo di ballo, un’orchestra, una squadra di pallone, forse anche un cantiere, in cui l’individuo possa dare prova della sua unicità senza cambiare inesorabilmente e fatalmente le sorti del sistema più generale che lo comprende e che, infine, darà un senso alla sua esistenza.

Eraclito sosteneva che Pólemos fosse padre di tutte le cose. La ricchezza della vita sta infatti nella continua lotta tra noi uomini, esseri caotici, e il nostro tacito indissolubile desiderio di raggiungere l’ordine delle cose.

 

Andrea Pisana

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