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Editoriale: compromessi

Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società.


Compromesso. Cosa esattamente è un “compromesso”? La definizione più comune è quella di “accordo in cui ciascuna delle parti rinuncia a qualcosa”. Si parla di compromesso quasi sempre in senso negativo, proprio sulla base di questo momento di “perdita”, ma siamo sicurə che si tratti realmente di una perdita in negativo? Come le migliori vicende dimostrano, non tutto il male vien per nuocere: spesso una scelta che a prima vista potrebbe sembrare la migliore a lungo termine si dimostra essere semplicemente un ripiego, talvolta anche un errore. Ed è proprio in questo frangente che entrano in gioco i compromessi: talvolta scendere a compromessi, rinunciare anche semplicemente ad un minuscolo granello della propria presunzione, del proprio castello di carta, non solo porta a risultati inaspettati ma anche, e soprattutto, alla scoperta di nuove risorse finora inedite.

Con irrisoria frequenza si è, perlomeno negli ultimi mesi, parlato di bene comune e compromessi. Basti pensare alla corsa al Quirinale: l’obiettivo ovvio a tuttə era quello di riconoscere una figura comune cui sarebbe toccato il compito di rappresentare il Bel Paese per i prossimi sette anni. Tuttavia la storia aveva altri piani: quelle sopracitate sono le parole con cui Sergio Mattarella ha, per lo meno in potenza, detto addio alla carica di Presidente della Repubblica lo scorso dicembre, in occasione del consueto discorso di fine anno. È evidente che in atto lə parlamentari non hanno accolto il suo desiderio. Lo scorso 29 gennaio, infatti, non può che essere considerato il “Monumento al fallimento della politica italiana”: con la rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella, alla veneranda età di 80 anni, si registra definitivamente il crollo del sistema parlamentare italiano, incapace di riconoscere collettivamente una nuova figura, diversa da Sergio Mattarella, per guidare il Paese. Veniamo ai fatti però: il circo allestito dai parlamentari e dai vari capi dei partiti è andato avanti per settimane e tra i vari nomi che sono stati proposti spiccavano Silvio Berlusconi, Maria Elisabetta Casellati, Mario Draghi, Pier Ferdinando Casini, Marta Cartabia, Paola Severino e così via. Non starò qui a decretare chi fosse adattə e chi meno. Piuttosto preferirei dar voce ad un parere che purtroppo non ha avuto grande eco. Sto parlando dell’idea di eleggere “una donna al Quirinale”.

Il problema di fondo è che, per quanto l’ideale fosse estremamente nobile, la donna in questo frangente avrebbe rappresentato un mero gioco politico, accontentando, solo in parte, quelle persone che aspiravano a un cambiamento in positivo della rappresentazione femminile fra le cariche più importanti dello stato. Sicuramente sarebbe un enorme passo avanti se fosse una donna a ricoprire la carica di Capo di Stato. Ma data la delicatezza della carica, poco importa che sia una donna o meno: vogliamo che a guidarci sia una persona competente e in grado di adempiere al proprio compito, mettendo completamente da parte tutte le possibili influenze cui è sottopostə e lavorando in funzione del famoso “bene comune”. Quindi sì a una donna al Quirinale, ma non una qualsiasi donna al Quirinale.

A livello europeo, però, una donna è stata scelta per ricoprire una carica politica di spicco: si tratta di Roberta Metsola, eurodeputata maltese e membro del Partito Popolare Europeo, eletta alla Presidenza del Parlamento Europeo. Tuttə abbiamo delle opinioni e, nel caso di Metsola, una delle più discusse è senza ombra di dubbio l’aborto: come ha dimostrato a più riprese, la neo Presidentessa è contraria all’interruzione di gravidanza, seguendo perfettamente la linea d’azione maltese, ad oggi l’unico Paese a vietare la pratica. Ad ogni modo, rispettando la carica che è chiamata a rivestire, ha già dichiarato che le sue opinioni coincideranno con quelle del Parlamento. Durante il suo intervento, inoltre, Metsola ha chiamato in causa diversi temi, tra cui immigrazione, energia, giustizia sociale e, soprattutto, l’eredità che riceve insieme alla sua carica.

Roberta Metsola, infatti, prende il posto di David Sassoli, ex giornalista e politico italiano, scomparso lo scorso 11 gennaio a soli 65 anni. Metsola afferma infatti: “La prima cosa che vorrei fare come Presidente è pensare all’eredità di David Sassoli: era un combattente, ha lottato per l’Europa e per noi, per questo Parlamento. […] Onorerò David Sassoli come Presidente difendendo sempre l’Europa, i nostri valori comuni di democrazia, dignità, giustizia, solidarietà, uguaglianza, Stato di diritto e diritti fondamentali.”.

Ma Metsola e Sassoli non sono le uniche persone a lottare per la difesa dei valori di dignità, giustizia e diritti fondamentali. Suppongo abbiate sentito, magari anche in modo passivo, di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, i due ragazzi morti durante uno “stage formativo”, meglio conosciuto con il suo nome ufficiale di “alternanza scuola-lavoro”. Ecco, questi sono solo due degli eventi più eclatanti riguardo questo strumento di sfruttamento e abuso che il Ministero dell’Università e della Ricerca, allora nelle mani di Letizia Moratti, insieme con il Governo Berlusconi nell’ormai lontano 2003 ha voluto introdurre. Chi è nato nel 2003 tra pochi mesi raggiungerà il diploma ma l’alternanza scuola-lavoro non sembra affatto vicina alla sua ora: ancora oggi sono innumerevoli gli scandali e le proteste che calcano le prime pagine dei giornali e non sembra esservi soluzione. A voler essere onestə, una soluzione vi sarebbe, ma non farebbe affatto piacere né al Governo né alle aziende che ne profittano: si tratta della completa abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, al fine di tutelare studentesse e studenti da soprusi, incidenti e, nel peggiore dei casi, danni irrevocabili che ne scaturiscono, sia ipoteticamente che non. Proprio a dimostrazione di ciò vorrei chiedervi di porre la vostra attenzione, anche solo per un attimo, alle immagini delle maggiori piazze italiane negli ultimi mesi: i protagonisti non sono gli striscioni, assolutamente. Fautrici e fautori di questi – necessari – disordini sociali sono proprio le/i giovanə di cui parla Mattarella nel suo discorso di fine anno.

Siamo proprio noi giovanə ad essere stufə di essere l’ultima ruota del carro, la meno importante, quella trascurabile. Siamo noi quellə che Mattarella chiama a “prenderci il nostro futuro” e, sulla base di ciò, noi vogliamo farlo in tutto e per tutto. Vogliamo che futuro sia sinonimo di cambiamento, di rinascita, di completa rivoluzione. Vogliamo smettere di lottare con le unghie e con i denti per la garanzia dei nostri diritti fondamentali, inalienabili, primo fra tutti il diritto alla vita. È inconcepibile che Giuseppe si trovasse su quel furgone quando sarebbe potuto tranquillamente essere in classe; è inaccettabile che Lorenzo fosse anche solo vicino a quella barra d’acciaio.

Siamo prontə a tutto, persino al compromesso, pur di farci sentire. Ciò che però non siamo dispostə a fare è metterci da parte, fare silenzio e annuire. Chiedete a tuttə quantə sono scesə in piazza se hanno intenzione di rinunciare anche solo alla possibilità di “fare casino”, come l’hanno definito tante, fin troppe, persone. Magari non sarà per l’aumento della tariffa dell’autobus, ma sicuramente non temiamo un nuovo sessantotto e questo, ai piani alti, non piacerà affatto. Peccato che a noi non interessi.

Beatrice Inì

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