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Editoriale: democrazia

Lunedì 26 Settembre 2022. Qualunque data, nella sua ordinaria apparenza, è schiacciata dal peso degli eventi che gravano su di essa; alcune assurgono, nell’immaginario collettivo, al ruolo di segno, di testimonianza convenzionale ma tangibile, capace di compendiare un valore astratto: il divenire storico si trasfigura così in un una serie di indicazioni temporali, con le quali spesso si tenta di inglobare processi graduali e articolati. Ciò presuppone che le date in questione siano state riconosciute come simboli, insieme agli avvenimenti che le contraddistinguono, di un impatto concreto sulla realtà. Identificare i meccanismi secondo cui tale riconoscimento avviene è una prerogativa dello storico, che, tra gli altri, dispone di uno strumento fondamentale per questo scopo, ossia del suo rapporto di posteriorità rispetto alle date che prende in esame. Pertanto, il cittadino che la mattina di quel 26 settembre 2022 abbia appreso i risultati delle elezioni politiche tenutesi il giorno precedente, si troverebbe necessariamente sprovvisto almeno di alcuni elementi per giudicare la portata della vittoria di uno schieramento e degli effetti che ne conseguono. D’altro canto, non si tratta di una condizione che implichi l’afasia; al contrario, ne derivano una molteplicità di giudizi non univoci, nella misura in cui interpretano una realtà ancora non compiutamente delineatasi. È in questo contesto, dunque, che vanno collocate le reazioni a caldo di chi, con la percezione di aver perso una battaglia, carico di sfiducia, forse terrorizzato dallo spauracchio dell’avversario demonizzato (per le sue stesse dichiarazioni o in conseguenza dell’azione propagandistica a lui opposta), ha considerato il 26 settembre uno spartiacque nella storia recente del nostro Paese. Tuttavia, una visione polarizzata al punto da contrapporre un passato idillico a un futuro infernale non rende giustizia alle innumerevoli sfaccettature della realtà. Per di più, nella cornice del pluralismo democratico, è richiesto un approccio assai cauto alla delegittimazione di un vincitore, se regolarmente divenuto tale: è il principio intrinseco alla democrazia stessa a prevedere che forze politiche di orientamento diverso concorrano alla conduzione dello Stato. Di fatto, in un quadro simile qualsiasi ideologia dovrebbe poggiare sul medesimo fondamento, garanzia dell’impossibilità che si compia un tracollo definitivo, destinato a rovesciare i cardini del sistema democratico; solo se sussiste questa condizione si tratta di un’ideologia accettabile. Se il trionfo delle destre è ovviamente legittimato dai voti che lo hanno definito, altra questione è decidere se la loro posizione e, soprattutto, i loro programmi, siano ammissibili in una prospettiva che salvaguardi l’essenza della nostra Repubblica. Ancor più divisivo, però, è identificare quest’ultima, sebbene, a rigor di logica, l’espressione più alta dello spirito repubblicano sia contenuta nella Costituzione ed è impossibile non osservare che proporsi di riformarla implica innegabilmente rottura, piuttosto che continuità, rispetto ai tanto decantati modelli patriottici. Quella che ci attende è, pertanto, una legislatura che ci porrà dinanzi all’interrogativo più complesso per una Nazione: comprendere, con un esercizio di introspezione, cos’è stata, cos’è, e cosa vuole essere. Nessuna ideologia dominante potrà sostituirsi alla società, pluralista per antonomasia, nella risposta a questa domanda, purché la democrazia sia preservata. Questo, infatti, è ciò che consentirà la libera manifestazione del dissenso, che, pur nelle sue varie manifestazioni, rappresenta sempre una diretta conseguenza della mancata omologazione del pensiero e, quindi, dell’esistenza di una vitale diversificazione di idee, la quale è funzionale al dibattito democratico. Ecco cosa contrassegna una posizione autoritaria, che costituisca indifferentemente la degenerazione estremista di un’ideologia di destra o di sinistra: la repressione del dissenso, che un regime esercita innanzitutto mediante il controllo sulla cultura, affinché si conformi ai canoni ufficiali. A tal proposito, è cruciale il ruolo dell’istruzione, la quale nella scuola pubblica rispecchia necessariamente i caratteri e gli intenti del sistema statale. Così, non è casuale che nel Mein Kampf Hitler individuasse nell’educazione dei giovani alla “purezza del sangue” il mezzo per assicurarsi la base razzista del suo regime, o che nelle scuole cinesi sia obbligatorio lo studio della filosofia del presidente Xi Jinping. È probabile che nessun meccanismo repressivo possa radicalmente cancellare le divergenze dalla linea ideologica di regime, che sopravvivono almeno in potenza nel pensiero dei dissidenti. Viene soffocata, però, la componente sistematica del dissenso, che non necessariamente coincide con l’esistenza di partiti d’opposizione: basti pensare alla Russia, che, pur prevedendo un sistema multipartitico, non può certo considerarsi uno stato democratico. Piuttosto, un regime ambisce a provocare il soccombere delle strutture, come la libera informazione, che permetterebbero ai contrasti con il potere, altrimenti latenti, di emergere. Lo testimonia proprio la vicenda della Russia, dove alle proteste contro la guerra di febbraio e marzo, al principio dell’invasione dell’Ucraina, è presto seguita una sostanziale cessazione di simili iniziative, dovuta all’incapacità di riorganizzare una rete di dissenso. Del resto, ai poteri di un regime non mancano violenti mezzi coercitivi, che traducono le limitazioni delle libertà di espressione e di associazione nell’oppressione anche fisica degli oppositori. In effetti, se Orwell in 1984 scriveva che «Libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Una volta garantito ciò, tutto il resto viene di conseguenza.», vale anche l’inverso, ossia se é limitata la possibilità di manifestare il proprio pensiero anche ai livelli più elementari, ne seguiranno tutte le restanti limitazioni. In ultima analisi, il 26 settembre 2022 simboleggerà soltanto l’avvenuta adesione della maggioranza degli elettori a uno schieramento diverso da quelli prevalenti negli anni precedenti se l’anima democratica dell’Italia non sarà tradita; in caso contrario, è una data che dovrà reggere un fardello ben più pesante.

Paola Carpinteri


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