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Editoriale - Febbraio 2019

Ricordi le sirene dell’Odissea? Con il loro canto fatale, erano in grado di penetrare nelle menti dei navigatori di passaggio e indurli alla morte, facendo perdere il totale controllo di sé. Ma perché la loro voce è così irresistibile e al contempo distruttiva? Hai mai pensato quale possa essere nei fatti la reale forza dell’appello di queste temibili creature?

Sarà il fascino del loro canto? Una musicalità tale da far breccia nell'io dell’ascoltatore? Come sostengono alcuni, il loro segreto sarebbe la capacità di cantare esattamente ciò che il viaggiatore desidera sentire. Perciò, il loro “potere” risiederebbe nella seduzione, nel fascino irresistibile della promessa (magari pure la meno mantenibile) di realizzare il sogno di ciascuno. Si tratta di un potere tanto forte da far perdere il controllo di sé e non far notare la triste sorte che attende il malcapitato uditore.

Ora, la mia intenzione non era affatto quella di annoiarti con una lunga lezione di critica letteraria, pertanto, prima di proseguire col mio discorso, ne approfitto per farti i miei complimenti per essere riuscito a non lasciar perdere la lettura.

Tornando alle nostre sirene, se volessimo dare un’interpretazione metaforica, esse potrebbero rappresentare l’esempio più limpido dell’enorme potenza persuasiva che può avere il linguaggio, strumento estremamente utile e importante per le nostre esistenze, ma anche enormemente incisivo, insidioso e malleabile.

Le parole, infatti, specialmente nel campo della comunicazione politica, hanno sempre suggestionato le folle, spingendole a credere ciecamente nella figura di un capo. Figure come Mussolini, Hitler o qualsiasi altro dittatore (ma anche qualsiasi politico demagogo di oggi) hanno, per esempio, saputo far leva sulle parole per costruire il proprio potere e per sostenere folli progetti di dominio assoluto.

Sebbene possa sembrarti strano, qualsiasi progetto totalitario si fonda su un’ampia riformulazione della lingua e sulla creazione di un registro linguistico che, nei discorsi e negli scritti, possa assecondare gli ideali dei governanti. La lingua del Terzo Reich, ad esempio, si caratterizzava per la sua povertà e monotonia, che servivano a mantenere inalterata l’ideologia nazista. E quale modo migliore di farlo se non riducendo le capacità speculative e restringendo al massimo le possibilità di scelta, limitando così la sfera d’azione del pensiero?

Per fare un altro esempio, senza oltrepassare i confini italiani, lo stesso Mussolini puntò enormemente sull'uso della parola allo scopo di manipolare le coscienze degli ascoltatori, come testimoniato dai suoi famosi discorsi e dall'effetto galvanizzante che essi avevano sulle folle. Più in generale, egli procedette pure a una vera e propria riformulazione del vocabolario italiano e a un processo di forte italianizzazione, a volte con risultati assurdi, come la traduzione di “chiave inglese”, rea di evocare una nazione nemica, con chiave morsa.

Potrai benissimo non essere d’accordo, ma, sosteneva Wittgenstein, le parole che usi delimitano il tuo mondo. Il linguaggio, infatti, è uno dei maggiori filtri del nostro modo di pensare e interpretare la realtà. In fondo, non è attraverso le parole che ciascuno esprime i propri pensieri? Noi pensiamo in parole, in sostanza. E se, per assurdo, non ci fossero più neanche i termini adatti per esprimere le tue idee e magari il tuo eventuale dissenso rispetto all'opinione più diffusa (o imposta “dall'alto”)? Come faresti se non avessi neanche gli strumenti linguistici per farlo? Tempo fa un certo Orwell disse che “se il pensiero può corrompere il linguaggio, il linguaggio può corrompere il pensiero”. E forse non aveva tutti i torti, perché proprio questo è il vero potere della lingua: se controlli il significato delle parole, puoi controllare anche le persone che devono usarle.

Quanto detto, pertanto, testimonia l’importanza che ha avuto e ha tuttora il controllo del linguaggio, la capacità di usare “parole di miele” per convincere le folle della giustezza delle proprie idee e azioni, quand'anche nei fatti non sia così. E se pensi che questo sia un problema che riguarda solo le dittature totalitarie del passato, temo di doverti dare una brutta notizia. Se hai sentito parlare di populismo e di demagogia (e, credimi, se ne sente parlare spesso oggi in politica), potrai benissimo constatare che è invece qualcosa di molto attinente al mondo odierno.

Farsi ammaliare dal seducente fascino della demagogia. Questa è la vera insidia: cadere nel tranello delle “sirene”. Dovremmo forse farci legare all'albero maestro come il caro vecchio Ulisse? Chissà, ma intanto ascoltiamo il dolce canto delle sirene che, purtroppo, si cela dietro le parole di tanti, troppi uomini.

Fabrizio Miceli

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