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Il decreto scolapasta

Si sa, quando in Italia si parla di immigrazione c’è sempre molto di cui discutere: chiunque è sempre pronto a dire la sua e a proporre idee e soluzioni per cercare di provvedere al meglio a questa problematica che il nostro Paese è costretto ad affrontare. Questa vivace forma di partecipazione da parte di molta gente va senza dubbio interpretata in modo positivo, almeno finché le opinioni espresse si basino su motivazioni concrete e su un sensato ragionamento logico. Chiaramente, questa regola del “ragionare prima di aprir bocca” dovrebbe valere anche in ambito politico: prima di prendere una qualsiasi forma di provvedimento, è scontato dover creare delle basi argomentative sensate su cui farlo poggiare; prima di emanare un decreto, è scontato assicurarsi che esso contenga degli articoli che garantiscano dei doveri sensati, assolutamente non illogici. Scontato per alcuni, non tanto per molti. È proprio in questo secondo gruppo che, a quanto pare, rientra il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che si è nuovamente posto al centro di numerosi dibattiti e critiche dopo aver messo alla luce la sua ultima “opera d’arte”, il decreto che porta il suo nome, emanato lo scorso 24 settembre.

Questo decreto prevede una serie di regolamentazioni riguardo alla questione immigrazione precedentemente menzionata, nonché unico problema di cui il ministro Salvini sembra aver avuto il tempo di occuparsi in svariati mesi di mandato, riservando solo una breve porzione finale alla gestione dei beni confiscati alle mafie. Gli articoli del suddetto decreto si occupano dell’abolizione della protezione umanitaria prevista dal Testo unico sull’immigrazione del 1998, dello stanziamento di più fondi per i rimpatri, del maggiore utilizzo dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) a discapito del regolare sistema di accoglienza Sprar, di parecchie restrizioni sull’ottenimento della cittadinanza e dell’introduzione da parte delle forze dell’ordine dell’utilizzo dei taser. Sin dal primo articolo, si notano delle paradossali incongruenze: se si dovesse negare la protezione umanitaria, un numero pari a 60mila immigrati si ritroverebbe in condizione di irregolarità, alimentando quindi ulteriormente il problema che l’articolo (e il decreto in generale) si pone di risolvere. Inoltre, la protezione umanitaria è uno dei metodi di applicazione dell’articolo 10 della Costituzione italiana, a cui i nuovi “irregolari” potrebbero far riferimento per portare avanti dei conteziosi giudiziari, il cui numero aumenterebbe in maniera esponenziale, intasando i tribunali. Altri dubbi vengono sollevati dagli articoli che prevedono un massiccio utilizzo dei Cas, strutture per l’accoglienza dagli standard bassissimi che seguono protocolli di emergenza, eliminando quindi ogni forma di convivenza tra questi ultimi e il sistema Sprar, convivenza che una legge del 2015 cercava di attuare, seppur con grande fatica. Altri articoli propongono invece l’aumento del costo di domanda per la cittadinanza o l’impossibilità di ottenerla sposando un coniuge italiano, modificando una legge del lontano 1992. Infine, il decreto prevede anche l’uso dei taser da parte delle forze dell’ordine, senza aver neanche atteso la fine del periodo di sperimentazione di queste armi, dandole in dotazione addirittura ai vigili urbani. Chissà? Magari di questo passo li useranno anche i pompieri per spegnere gli incendi.

Riccardo Fiorilla

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