Recentemente,sempre più studi hanno mostrato una curiosità riguardante il sonno. Potrà sembrare la solita minestra,del tipo “bisognerebbe dormire almeno 8 ore al giorno” oppure “si avverte il sonno quando il cervello non riesce a catturare ulteriori informazioni”, bensì stavolta si tratta di un fenomeno non poco bizzarro. L’anomalia si riscontra nell’attività svolta dal nostro encefalo in particolari condizioni,per le quali si parla chiaramente di “sonno uniemisferico”. Come intuibile dallo stesso aggettivo,si è scoperto che pure l’uomo può sviluppare,anche se in misura ridotta,la capacità di dormire con un solo emisfero; questa dote è di per sé singolare,in quanto finora l’unica specie in cui si è rispecchiata è rappresentata dalla classe animale e, più nello specifico,da balene,delfini e uccelli migratori; questi,infatti,sfruttano il meccanismo per mantenersi in allerta: i cetacei da eventuali predatori e gli ultimi per potersi spostare durante il riposo. Tuttavia,se l’essere umano non ha preoccupazione d’esser predato né ha insita la facoltà di compiere una migrazione ad occhi chiusi,perché ciò succede?
La risposta ci era stata fornita in passato da un gruppo di ricercatori della Brown University di Providence(Rhode Island,USA),i quali avevano affermato che questo avvenimento fosse dovuto al dormire in un luogo sconosciuto,lontano dalle pareti di casa,descritto in breve dal cosiddetto “effetto prima notte”. Per poterlo approfondire i fisici dell’università di Berlino hanno studiato ed interpretato l’encefalogramma di alcune persone,che sottopostesi all’esperimento,hanno trascorso un paio di giorni in un laboratorio. Dal tracciato è emersa la stessa teoria del gruppo americano,ovvero una profonda sproporzione tra gli emisferi e,in particolare,si è notato che uno dei due presentava una differente sincronizzazione,esercitando l’attività del sonno in maniera meno accentuata rispetto all’altro. La prova ha confermato come un soggetto che si trovi in un posto diverso dal proprio manifesti,al pari di alcuni animali,il loro uguale stato di allarme, anche se involontariamente; e proprio riguardo quest’ultimo punto le caratteristiche cambiano: basti pensare che i delfini,in confronto agli umani,utilizzano un solo emisfero appositamente per respirare,poichè devono ricordarsi di farlo! Per il resto la condizione parziale di veglia rende anche l’uomo attento a tutti i suoni presenti nell’ambiente,quasi fosse “aggiornato” su ogni cambiamento del clima circostante. Ma un aspetto derivato dal medesimo test ha determinato una progressiva dispersione della “crisi primae noctis”,spiegata con la naturale attitudine di ognuno di noi ad adattarsi,e al contempo ha evidenziato come il fenomeno risulti del tutto assente in coloro che viaggiano spesso: probabilmente i mutamenti continui a cui sono abituati sono tanto frequenti da renderli impassibili e indifferenti verso il nuovo. Così,tra chi lo sperimenta e chi no,io mi chiedo: è possibile che il fenomeno sia reversibile? Può accadere,cioè,che quella sensazione di estraneità provata lontano da casa si possa percepire quando si torna,specialmente dopo un lungo periodo?
Giulia Arrabito
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