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L’arresto di Matteo Messina Denaro è davvero una vittoria per lo Stato?

Il 16 gennaio 2023 il famigerato boss mafioso, Matteo Messina Denaro, è stato arrestato. Un uomo ricercato da circa trent’anni e considerato uno dei latitanti più pericolosi del mondo, catturato nel momento di massima debolezza dello stesso mentre è in una clinica privata rinomata in tutta la Sicilia per la cura dei tumori: significa veramente che lo Stato ha vinto?

Lo Stato vince quando riesce a dare verità e giustizia ai suoi cittadini; sicuramente l’operazione che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro è stata lodevole, in quanto apre alla speranza di poter avere, appunto, verità e giustizia. Ma se dobbiamo appellarci alla speranza che un mafioso parli per ottenerle, significa che molti in questi anni hanno fatto finta di nulla. Troppe volte Matteo Messina Denaro è sfuggito alla cattura anche quando le forze dell’ordine erano a pochi passi da lui, un segnale che la rete degli alleati è sempre stata molto attenta ed attiva. Se lo Stato deve aspettare che sia il boss a parlare e a rivelare tutta la sua rete significa che, comunque vada, una piccola parte di quello Stato ha remato in un’altra direzione. Nella scheda presente nel sito del Ministero dell’Interno si legge chiaramente che fino ad oggi Messina Denaro era “ricercato dal 1993, per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro”. È cominciata nuovamente a circolare, dopo la cattura dell’ultimo dei Corleonesi, un’intervista rilasciata a “Non è l’Arena” il 5 novembre 2022 da Salvatore Baiardo, ex gelataio molto vicino ai fratelli Graviano, in cui questi parlava di un boss malato e ormai pronto a farsi catturare. Successivamente, in un altro intervento nella trasmissione di Giletti, Baiardo ha detto che “‘U Siccu” stava per morire e che il conduttore di La7, facendolo parlare, stava rischiando molto. L’augurio che tutti noi dobbiamo farci è che l’arresto di Matteo Messina Denaro, unito al suo stato di salute e alla sua età, lo porti a collaborare con la magistratura per fare i conti con il passato e chiudere veramente un’era della storia italiana. C’è da far luce sugli omicidi, sulle stragi, ma anche sulla sua latitanza e su chi, in questi anni, l’ha aiutato e sostenuto. Non conosciamo i luoghi che ha frequentato, non sappiamo con certezza se sia sempre rimasto in Sicilia, se abbia frequentato anche altre regioni o altri Paesi e, soprattutto, non sappiamo fin dove si sia spinta la sua rete. Conoscere questi particolari significherebbe dare verità e giustizia alle vittime e forse chiudere definitivamente con il passato, un passato che per molti non lo è mai stato di fatto, siano essi i familiari delle vittime innocenti delle mafie o gli alleati delle mafie stesse.

Gabriele Pitino e Angelo Vindigni


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