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L'editoriale - Novembre 2018

Aggiornamento: 22 nov 2018

La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore.

Così affermava Malcolm X relativamente alla necessità di percepire il valore del passato e di quanto è avvenuto nella storia umana. Senza memoria storica, infatti, una comunità rischierebbe di smarrire il senso profondo della propria identità culturale e civile, fino ad abituarsi a vivere in un eterno presente.

Coltivare l’analisi del passato comporta il dovere morale di ricordare, anche perché, se viene a mancare un’attenta analisi di ciò che è stato, si corre il rischio di non esserne più consapevoli e non dargli così il giusto senso e l’esatta importanza. Ciò, tra l’altro, potrebbe anche comportare un rischio ben peggiore: distorcere il passato.

Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto?

Non penso siano necessarie le mie parole per ricordartelo, perché avrai sentito infinite volte ripetere la solita solfa secondo cui la storia è magistra vitae e che in essa si trovano utili chiavi di lettura del presente.

Basta una semplice analisi del nostro mondo per comprendere che non ricordare, fingere di non farlo, o farlo in modo parziale e/o distorto è davvero un grave problema, perché senza passato rischiamo di vivere schiacciati dal presente.

Questo è, più che mai al giorno d'oggi, il problema di noi italiani. Dimentichiamo troppo in fretta, senza fare i conti col nostro passato. Per fare un primo esempio, non abbiamo fatto totalmente i conti con il fascismo, che, infatti, tuttora continua a fare capolino dagli angoli dove è stato semplicemente accantonato.

“Quando c’era LVI l’Italia era grande. LVI ha inventato il sistema pensionistico, con LVI non c’era il problema immigrazione, LVI non era un inetto come i politici di oggi, con LVI tutti avevano un lavoro, ai suoi tempi si stava decisamente meglio.”

Non devo necessariamente essere io a ricordarti come un’attenta analisi storica può smentire questa serie di dicerie, che purtroppo dilagano come fossero mantra tra le persone deluse dalla situazione presente.

Nonostante ciò, vorrei comunque dire che, per certi aspetti, potrebbe essere normale guardare in modo cupo alla nostra epoca, ma sono fermamente convinto che la distorsione di ciò che è stato non è per nessuna ragione la soluzione. È un bene guardare al passato (anche a quello del Ventennio), ma l’importante è farlo con lucidità e nel tentativo di servirsene per costruire un buon futuro.

«Sentir dire che il fascismo ebbe alcuni meriti ma fece due gravi errori, le leggi razziali e l’entrata in guerra», è un’affermazione «gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con fermezza, perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza». Queste sono le parole che Mattarella ha pronunciato lo scorso gennaio, negando dunque i presunti “meriti storici” del regime.

Per di più, non abbiamo fatto i conti neanche con una problematica che fino a qualche decennio fa vedeva noi come infelici protagonisti: le migrazioni. Siamo sempre stati un popolo di migranti, eppure facciamo finta di non ricordarlo, continuando a ordinare la chiusura dei porti, negando le fondamentali forme di assistenza umanitaria e, nei casi peggiori, persino chiedendo che gli immigrati che arrivano vengano tutti immediatamente e – sottolineo – indistintamente rimpatriati.

Abbiamo dimenticato il nostro passato e, diventati spesso persino incapaci di comprendere un dramma che è stato anche nostro, preferiamo darci al razzismo ingiustificato.

Cosa? Razzismo? Qualcuno ha parlato di razzismo? Il nostro non è mica razzismo, siamo solamente stanchi di dover far fronte ad una situazione che ci viene presentata come non più sostenibile. Ovvio, le cose stanno sicuramente in questo modo, anche perché, d'altronde, neanche il razzismo è mai stato un nostro problema. Sicuri? Forse anche in questa circostanza farebbe bene andare a rileggere qualche libro di storia per ricordarsi dell'infamia delle leggi razziali che anche il nostro caro Paese ha sperimentato.

Abbiamo la memoria corta, questo è il nostro vero problema. Ricordiamo solo dei frammenti sparsi, quelli che potrebbero far comodo, e le loro “distorsioni”.

E questa nostra – concedimelo – negligenza può rappresentare il rischio più grave, perché, se rimuoviamo ciò che è stato, “la menzogna diventa verità e passa alla storia” (Orwell, 1984). E, se ciò accadesse, il ciclo degli eventi potrebbe davvero ripartire da capo e, non è certo ma sicuramente probabile, in una maniera persino peggiore.

Fabrizio Miceli

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