Al termine del primo quadrimestre noi studenti non pensiamo ad altro che all’arrivo delle giornate di Carnevale. Ma da dove ha origine questo periodo di festa?
Secondo alcune fonti il termine “Carnevale” deriva dal latino “carnem levare”, cioè “eliminare la carne”, che faceva riferimento al banchetto che si teneva il martedì grasso: infatti è una festa mobile cristiano-cattolica che originariamente aveva inizio la prima domenica dopo l’Epifania e si protraeva fino all’inizio della Quaresima, durante la quale non si mangiava carne; secondo altri studi, meno accreditati, trae origine, invece, dalla parola “carnualia” (giochi campagnoli) o da “currus navalis” (corteo navale), seguendo un’usanza pagana sopravvissuta fino al XVIII secolo che consisteva in un corteo di navi. Troviamo riferimento al Carnevale anche in un documento del 1094 redatto dal doge veneziano Vitale Falier e nel 1296 esso fu ufficializzato come festa dal Senato della Repubblica di Venezia.
Sebbene sia una festa cattolica, essa ha origine in tradizioni molto antiche, per esempio le dionisiache greche o i saturnali romani, feste durante le quali si sospendevano gli obblighi sociali per abbandonarsi allo svago, allo scherzo e alla sregolatezza. Per esempio, lo schiavo assumeva il ruolo del padrone e viceversa, tramite anche l’utilizzo di maschere, che permetteva la perdita delle differenze sociali e la possibilità di porre tutti sullo stesso piano. L’utilizzo delle maschere si diffuse nel contesto ellenico, all’interno dell’ambito teatrale, in cui ci si mascherava per rappresentare un personaggio e incarnarne le caratteristiche, e si è protratto fino ai giorni nostri, nonostante le modifiche imposte dalla Chiesa. Altra funzione delle maschere fu quella di mettere in contatto il mondo dei vivi con quello degli spiriti.
Le maschere italiane rappresentano vizi e virtù del popolo, dalla classe borghese ai ceti più bassi. Tra le più importanti e conosciute ricordiamo Arlecchino, Colombina e Pulcinella.
Arlecchino è la maschera di Bergamo, e incarna la figura di un servo scansafatiche, furbo e molto allegro. Sull’origine del suo abito multicolore vi sono principalmente due versioni: la prima lo vede figlio di una donna poverissima costretta a mandare a scuola il figlio con abiti pieni di buche e toppe. Un giorno, durante una grande festa, un gruppo di signore, vedendolo triste, decise di cucirgli un abito utilizzando ritagli di diversi tessuti colorati; nella seconda Arlecchino è il garzone di un mercante talmente tirchio da vestirlo con abiti ricavati da toppe di vestiti vecchi. Storicamente, Arlecchino nasce dall’unione di due differenti tradizioni: lo Zanni bergamasco e figure diaboliche, come Hellequin e Alichino.
Altra maschera celebre è quella di Colombina, tratta delle commedie di Plauto. Insieme a Pantalone (altra maschera famosa) rappresenta la città di Venezia e incarna la figura della domestica furba e intelligente che è capace di raggirare i suoi padroni.
Ultima maschera è quella di Pulcinella, iconico simbolo di Napoli. Riprende Maccus, il personaggio delle Atellane romane, servo dal naso lungo e da una veste bianca e ampia, elementi che lo contraddistinguono ancora oggi, seppure il suo personaggio sia svanito con l’arrivo del Cristianesimo per essere ripreso poi nel ’500 con la Commedia dell’arte. Le sue caratteristiche principali sono la pigrizia, l’ironia e la sfrontatezza.
Altre maschere sono divenute simbolo degli importanti Carnevali d’Italia, fra i quali quello di Venezia, quello di Acireale e quello sardo, dalle origini arcaiche.
Gioia La China e Gabriele Iacono
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