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Ve-lo spieghiamo: la realtà del velo ieri e oggi

Quel velo che oggi rende riconoscibili le donne islamiche e che in qualche caso suscita timori fa parte della tradizione mediterranea, dunque anche della tradizione cristiana. Il velo cristiano è stato proprio una tradizione. Il suo uso non deriva dal Corano e non è specificatamente legato all’Islam. Il velo, oltre al suo significato religioso e culturale, rappresenta un forte senso di possesso delle donne da parte degli uomini.

La parola velo ci riporta immediatamente alla mente la religione islamica, l’unica nella quale le donne, ad oggi, lo indossano non solo durante il momento di adorazione, ma anche nella vita quotidiana. Le donne islamiche, infatti, non mostrano quasi mai il loro capo scoperto pubblicamente, o perché la propria comunità o famiglia glielo impedisce, o per scelta personale.


Ma il velo è presente solo nella cultura islamica/orientale?

La risposta è no. In Grecia si hanno testimonianze dell’usanza di portare il velo già a partire dal 500 a.C.. Per esempio, a Tebe le donne nascondevano il viso dietro un velo bianco trasparente con buchi per gli occhi.


Anche nella cultura ebraica le donne usavano coprirsi il capo, come raccontano molti episodi della Bibbia.

Il velo ebraico è un simbolo dal valore religioso e sociale, che rappresenta per la donna sottomissione al volere di Dio e dell’uomo. Questo velo, come quello indossato dalla Vergine Maria, è chiamato “taled”.

Durante l’Impero Romano, le donne indossavano invece una stola gettata sopra il capo e incrociata sulla spalla sinistra, ma solo successivamente al giorno del matrimonio.

Nella tradizione cristiana, fu con San Paolo che si iniziò a considerare il velo come un segno di castità o di modestia, quindi come prescrizione per tutte le donne cristiane. Nei primi secoli del cristianesimo le donne si velavano in chiesa, ma ciò per Tertulliano, scrittore e filosofo romano, era un abuso. Secondo lui infatti il capo coperto andava portato dalle donne di qualunque condizione, sia che fossero vergini o sposate, e in qualsiasi luogo, come segno di sottomissione. San Paolo e Tertulliano hanno dunque sistematizzato e generalizzato l’uso del velo collegandolo al pudore o, per meglio dire, alla debolezza femminile e alla conseguente necessità di sottomettere la donna all’uomo, ma in realtà anche all’incapacità maschile di resistere alla tentazione.


La cultura del velo, anche se in modo poco evidente, si è tramandata fino ai giorni nostri. Basti pensare ai veli nuziali: la sposa indossa un velo sul capo per nascondere il proprio viso da eventuali spiriti maligni che vogliono ostacolare la sua felicità.

Il velo nuziale fu introdotto per la prima volta dai Romani che lo chiamarono “flammeum”, colorato di giallo, arancione o rosso, proprio perché richiamava le fiamme del fuoco della Dea Vesta, protettrice del focolare domestico. Per alcuni secoli la tradizione di indossare questo lungo velo fu persa, ma ripresa nel Medioevo, grazie alla diffusione del Cristianesimo. Da questo momento in poi però il colore subì un brusco cambiamento, passando al bianco che indicava e indica tutt’oggi la purezza della sposa.

Le radici di questa usanza hanno profondamente colpito anche la nostra nazione. Infatti, visualizzando foto che risalgono alla fine dell’’800 e all’inizio del ’900, le donne indossavano la veletta o il “fazzoletto” durante i momenti di preghiera.

Ad oggi l’usanza di portare la veletta è praticamente sparita: solo pochissime donne vissute negli anni in cui era diffusa continuano a portarla.

Sarah Vaccaro e Sara Manenti

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