“Parasite”, l'opera drammatica dal regista sud-coreano Bong Joon-Ho, che ha ottenuto 6 candidature e ben tre premi Oscar, ha avuto un grande successo, soprattutto in Italia.
La pellicola inizia con una famiglia povera, i Kim, che abitano in un sottoscala, rubano il WiFi e si mantengono facendo cartoni per le pizze per le consegne a domicilio. Praticamente stanno al fondo della catena sociale, il loro posto è il posto dove gli altri camminano, ovvero il marciapiede. Il film inizia a prendere forma con la figura di Kiwoo, uno dei figli della famiglia Kim, che viene chiamato da un amico il quale gli propone di sostituirlo come tutore di inglese di una ragazzina di una ricca famiglia, i Park. Questa famiglia, ingenuamente, aiuta Kiwoo ad ambientarsi e a procurare a tutta la sua famiglia dei lavori: la sorella ottiene il ruolo di tutor d'arte, attraverso molte menzogne, mentre i genitori diventano autista e governante dei Park. Qui si presenta, in particolar modo, la lezione di Parasite: l'unico modo per andare avanti, soffrendo meno, è iniziare ad essere efficienti e bugiardi. Questo punto sarà importante dato che il protagonista non riuscirà più a controllarsi. Il regista, racconta di aver scelto questa figura perché è una delle poche in cui può mostrare un contatto tra due mondi così distanti della Corea contemporanea: con “Parasite” infatti vediamo, finalmente, un film radicale che si occupa di rovina sociale, famiglia, povertà, lotta per migliorarsi.

Megi Tabaku
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