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"Se questa è una donna"

È da poco trascorso il Giorno della Memoria, delicato tema al quale è stata dedicata anche la nostra assemblea d’istituto di gennaio. In effetti, Primo Levi, nell’ormai celebre memoir “Se questo è un uomo”, scriveva: <<Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario>>. Tuttavia, quando ci rapportiamo al ricordo non indaghiamo tutti gli aspetti che uomini e donne effettivamente conobbero durante quella che fu una delle pagine più buie della storia. Pensateci bene: quando mai a scuola si è parlato di come furono vissute le mestruazioni nei lager? Argomento che, a quanto pare, è stato finora percepito dalla ricerca come irrilevante, come sottolineato dalla storica Jo-Ann Owusu sulla rivista History Today. Ricordiamo che al tempo la prigionia fu inevitabilmente vissuta come la completa esposizione forzata dei corpi allo sguardo degli altri. Infatti, Liliana Segre ci parla di pudore violato e di disprezzo dei nazisti maschi verso donne umiliate, e ribadisce che una domanda che ai tempi si pose fu: <<E quando arriveranno le mestruazioni, come farò?>>. Era implicita la vergogna per un sanguinamento che avvenisse in pubblico, senza poterlo arrestare o gestire, proprio perché si era state private anche di quei mezzi che sono per noi oggi scontati. Grazie alla testimonianza di Trude Levi, sopravvissuta intervistata dalla storica sopracitata, sappiamo che non vi era acqua per lavarsi o biancheria intima, per cui ci si faceva bastare quella generica a disposizione e la si strappava ricavandone delle piccole pezze che, sciacquate come meglio si poteva, avrebbero costituito una sorta di protezione, posta a stretto contatto con la zona interessata. Hannah Arendt, pensatrice del ’900, riteneva che i lager rappresentassero un teatro di annientamento della stessa spontaneità psicofisica come espressione del comportamento umano. Eppure, la solidarietà femminile determinata dall’esperienza condivisa delle mestruazioni – scrive la Owusu - narra un’altra storia o, meglio, narra come si riscattarono le donne da violazioni tanto profonde delle loro libertà. Si pensi alle adolescenti che ebbero il menarca (prima mestruazione) proprio sul campo. Di fronte a questo, la sopravvissuta Tania Kauppilla, priva di un’educazione improntata alla conoscenza dei più naturali meccanismi fisici, temette di morire. In conseguenza di simili fenomeni, nacquero le cosiddette “famiglie di campo” o “famiglie sostitutive”. Ora, è bene ricordare che, in un ambiente di stenti e sofferenze, la maggioranza delle donne conobbe un arresto del ciclo e quindi la perdita della fertilità che, non di rado, non tornò. Per questo, quando in alcuni casi dopo la Liberazione l’amenorrea (assenza di ciclo) scomparve, molte donne si unirono in festa e riconobbero l’evento come simbolo della loro ritrovata identità, specialmente di genere.

Ogni qualvolta, oggigiorno, noi ragazze abbiamo le mestruazioni, dovremmo forse pensare a quando donne come noi furono private di viverle in maniera dignitosa perché, di fronte all’ennesima violazione di questo diritto, verrà altrimenti da chiedersi “Se questa è una donna”.

Lisa Caruso


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