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TikTok: è veramente un addio?

TikTok, conosciuto anche come “Douyin” in Cina, è un social network cinese lanciato nel settembre 2014, inizialmente con il nome ‘’Musical.ly’’. Attraverso l'app, gli utenti possono creare brevi clip di durata variabile, modificare la velocità di riproduzione, aggiungere filtri, effetti particolari e suoni ai loro video ed eventualmente chattare. Nonostante questo social sia nato a scopi educativi, ha ricevuto negli anni milioni di critiche, fino al luglio 2020 quando i creatori di quest’ultima sono stati accusati per la “creazione di uno strumento di spionaggio di massa di proprietà del governo cinese”. Da questo momento in poi i vari paesi si sono adoperati nella tutela della popolazione, in particolare della maggioranza di minorenni che talvolta abusa dei vantaggi dell’app, in tempi recenti i primi blocchi sono partiti dagli Stati Uniti. Ora il governo di Washington ha dato 30 giorni ai dipendenti federali per disinstallare l’app. Il problema è sempre lo stesso: c’è il sospetto che TikTok possa condividere dati degli account con “terzi”. L’app è stata bloccata per tutti i deputati del parlamento degli Stati Uniti, è stato vietato l’accesso dalle reti WiFi di alcuni campus universitari; sempre la Casa Bianca ha dato disposizione a tutte le agenzie federali di eliminare l’app da tutti i dispositivi governativi entro 30 giorni: “Questa scelta fa parte dell'impegno costante dell'Amministrazione per proteggere la nostra infrastruttura digitale e proteggere la sicurezza e la privacy del popolo americano” afferma il responsabile federale per la sicurezza informatica. Di lì a poco la decisione è penetrata nelle menti di altre figure importanti, come il Canada che ritiene TikTok un “rischio inaccettabile per la privacy e la sicurezza”, e infine l’Italia, che aveva inizialmente disposto il divieto di uso dell’applicazione per i minorenni, affronta la questione del ban di Tik Tok in maniera trasversale: se da un lato il ministro per la Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, che pare esprimersi a favore della posizione presa dagli Stati Uniti anche se con evidente incertezza, dall’altro Matteo Salvini espone pubblicamente su Twitter il chiaro disappunto per ogni tipo di censura favorevole invece ad una maggiore libertà di parola e pensiero. L’unica figura che non si è ancora espressa al riguardo è la premier Giorgia Meloni che continua nella noncuranza ad utilizzare l’app, che si sia forse affezionata al numero di followers raggiunto?

Elena Ficili

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