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“W l’Intelligenza Artificiale” direi se fossi d’accordo

  • Immagine del redattore: Scicliceo
    Scicliceo
  • 20 ore fa
  • Tempo di lettura: 2 min

“Certamente, ecco un testo di 296 parole sui problemi che rappresenta l’intelligenza artificiale scritto come se fosse l’articolo di un giornale per ragazzi”.

Questo genere di frasi accompagna ormai la nostra quotidianità, dal momento che chiediamo aiuto alle intelligenze artificiali praticamente per ogni cosa: per fare i compiti, per cucinare o per capire perché il nostro gatto faccia dei rumori strani, ed esse sono così diffuse ed apprezzate da aver ridotto le nostre capacità di svolgimento di una ricerca, senza considerare la minaccia che rappresentano per innumerevoli posti di lavoro.

Questa però non è una critica che mira a denunciare le IA in quanto causa della diminuzione di manodopera o della futura “estinzione umana”.

Chiariamo innanzitutto che le intelligenze artificiali sono costituite da una serie di algoritmi, generati per mano umana, che le limitano. Ogni errore che si rivela fatale è dovuto a una sbagliata trascrizione del loro codice, perciò non potrebbero mai “impazzire” da un momento all’altro e ucciderci tutti.

La minaccia maggiore colpisce gli scrittori, che si vedono superati nel giro di pochi secondi da un insieme di 0 e 1 senza coscienza, che vengono scoraggiati da una macchina apatica che rende vano ogni tentativo di utilizzo della propria immaginazione.

Provate a pensare a un Dante che rinuncia alla propria “Commedia” perché Chat GPT ne ha elaborata una versione più soddisfacente senza sforzi.

L’immaginazione, che da sempre ha contraddistinto l’essere umano e parte della sua storia evolutiva, adesso è ostacolata da uno strumento di calcolo chiacchierone, che blocca il nostro sviluppo e opprime la nostra libertà, che ci impedisce di sognare e ci obbliga a stargli al guinzaglio, che ci toglie una caratteristica umana fondamentale, anche se sottovalutata, e noi neanche ce ne accorgiamo.

Citando Harlan Ellison, “Non ho bocca. E devo urlare”.


Vincenzo Campailla


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